Lo psicologo penitenziario: quale setting clinico?

Il lavoro clinico dello psicologo penitenziario si caratterizza da aspetti peculiari, anche molto diversi da quelli abituali di cura, sia per quanto riguarda il setting che il trattamento ed è sottoposto a pressioni di varia natura, che riguardano vincoli dentro il quale si trova ad operare. Vincoli di tipo legislativo, istituzionale e culturale.
Questo a fronte di un’evidente e profonda necessità di istituire degli assetti terapeutici dentro il carcere, che accoglie pazienti psichiatrici e che esso stesso possiede un elevato potenziale iatrogeno.
Il carcere è un luogo di sofferenza psichica: in parte, il disagio precede l’ingresso nell’istituzione e il reato stesso può essere una manifestazione acuta di questo. Basti pensare ai reati collegati alle dipendenze patologiche, ma anche a reati commessi all’interno della famiglia, connessi a situazioni di disagio psicologico e familiare.
In parte, il disagio viene determinato dal luogo stesso e dalla stessa esperienza di detenzione.
La “criticità” dell’evento detenzione nella vita di una persona è riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che considera come soggetti a rischio tutti i detenuti. Il momento dell’ingresso in carcere è considerato, infatti, come una delle fasi più critiche ed alto rischio suicidario. Da ciò nasce l’esigenza di un piano di azione nazionale per la prevenzione dei suicidi in carcere attraverso azioni dirette, non tanto alla selezione dei soggetti a rischio, quanto alla selezione delle situazioni a rischio. Per entrambe le condizioni, l’operare dello psicologo clinico all’interno dell’Istituzione Penitenziaria appare fondamentale, a livello di prevenzione. Ciò, nonostante il carcere non sia, in ogni caso, un luogo deputato alla cura ed il diritto alla salute in tale contesto non sia un fatto scontato né semplice.
L’entità dell’intervento psicologico ed i possibili setting sono, in questo ambito, determinati fortemente da vincoli di contesto con cui è necessario interfacciarsi, per operare delle scelte di lavoro coerenti con la Struttura, nonché per avere consapevolezza degli spazi entro i quali è possibile costruire e proteggere il lavoro clinico. L’istituzione carceraria appare dominata da un pervasivo conflitto tra istanze custodialistiche e rieducative. La possibilità di lavoro per lo psicologo consiste nella triangolazione della dicotomia del conflitto, e nell’introduzione di setting clinici paritetici a quelli esterni al carcere.

Dott.ssa Rita Baggiossi,
di “6psinsieme”: dr. Fabio Battisti, dr. ssa Angela Fiorletta, dr. ssa Sara Giorgi, dr. ssa Alessia Micoli, dr. ssa Cristina Pansera

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