Il ruolo di Papa Giovanni Paolo II nella caduta del Muro di Berlino

Il 9 novembre 1989 è stata una data che ha impresso una svolta nel XX secolo, con l’inizio di un cambiamento radicale, e imprevedibile fino a poco tempo prima.
È iniziata una transizione che ha portato l’Europa, e il mondo intero al termine di un mondo bipolare, consegnatoci dopo la Seconda Guerra Mondiale. Una transizione impossibile da prevedere, ma che fu inesorabile, come sorprendente, per le sue modalità: quasi senza spargimento di sangue. S’è parlato degli incontri tra Ronald Reagan e Michail Gorbaciov, l’avvento della Perestrojka e del cammino che portò alla demolizione del Muro di Berlino, ma, per giustizia storica, bisogna soffermarsi pure sul ruolo determinante che ebbe San Giovanni Paolo II, con la sua elezione alla Cattedra di Pietro, il 16 ottobre 1978.
L’elezione di un Papa polacco era inimmaginabile e fu una sorpresa per tutto il mondo: il primo Papa non italiano dopo più di 400 anni! Al Cremlino la sorpresa fu ancora più grande e connotata di amarezza: i comunisti avevano controllato in maniera capillare e talvolta schiacciato le chiese negli stati all’interno della Cortina di Ferro. Eppure, una realtà tradizionalista, reazionaria come la Chiesa cattolica era arrivata a rinnovarsi a tal punto da eleggere, non solo un non italiano, ma addirittura un cardinale proveniente da “oltre Cortina”: dalla cattolicissima Polonia! Questa fu la rivelazione della globalizzazione in cui era immersa la Chiesa cattolica: infatti, nonostante i decenni di oppressione e di persecuzione, più o meno pesante, dei comunisti, in Polonia nessun legame era stato reciso con la Chiesa di Roma. La Chiesa era rimasta l’unico spazio libero di rifugio.
Il protagonismo del popolo polacco si rianimò con l’elezione di Wojtyla alla Cattedra di Pietro: le sue iniziative permisero il risveglio della coscienza nazionale polacca, dalla condizione di rassegnazione e di intimidazione.
Tra l’altro, proprio la Polonia ebbe un ruolo determinante nella mediazione e nello spiegare chi fosse il nuovo Papa: in effetti, le prime informazioni di Papa Wojtyla rese al neo-segretario del PCUS Michael Gorbaciov, furono del generale Jaruselski.
In principio, il leader sovietico era tutt’altro che ben disposto verso il Papa polacco, ma Jaruselski gli parlò dell’importante ruolo che la Chiesa rivestiva nella stabilità della Polonia e che, il Papa, altro non era che un uomo impegnato perché nel pianeta si vivesse nel miglior modo possibile (Cfr. A. Riccardi, in “Governo Carismatico”, Mondadori 2003).
Da parte vaticana, Karol Wojtyla che aveva combattuto – seppure a distanza – i regimi sovietici di Breznev ed Andropov, intuì qualche elemento di differenza nei confronti di Gorbaciov, rispetto al passato, in particolare per l’introduzione della “Perestrojka” e, poi, della “Glasnost”. Il Papa mirava a due interessi principali: da una parte ottenere l’espansione della libertà religiosa e, dall’altro, stabilire rapporti diplomatici con i sovietici, in modo da cooperare per la risoluzione di problemi internazionali. Lentamente, arrivarono segnali positivi da Mosca, iniziavano così ad aprirsi le porte: vi furono i primi viaggi di esponenti della Chiesa cattolica, finalmente liberi di muoversi e di visitare altre chiese; e si stabilirono relazioni ufficiali tra Polonia e Santa Sede.
Era l’anno 1989.
Papa Wojtyla aveva già iniziato a lavorare per erodere non solo il Muro di Berlino, ma tutto il regime sovietico. Già con la prima visita che fece da Papa proprio nella sua Polonia, iniziò a far sentire la sua voce. Dopo una lunga trattativa con il PCUS, il Papa ottenne di entrare in Polonia e di compiere una visita importante.
Atterrato a Varsavia, il Papa chiese allo Spirito di discendere sulla terra e rinnovarla, aggiungendo solo la parola “questa”: “rinnova questa terra”.
Solo l’estrema finezza di un vaticanista notò l’accento che il Papa aveva messo sulla parola in più!
Prima che cadesse il Muro di Berlino, Papa Giovanni Paolo II ebbe modo di tornare il Polonia anche nel 1983 e nel 1987. Il Professor Andrea Riccardi, storico, studioso e profondo conoscitore di Giovanni Paolo II, paragonò i viaggi di Wojtyla al ritorno in patria dell’ayatollah Khomeini. Così emergono due aspetti: il primo riguarda la paura, stigmatizzata con il sarcasmo sulle “divisioni che il papa avrebbe potuto schierare” in campo, ma che con quel paragone coglieva appieno l’importanza dell’azione della Chiesa unita. Il secondo è la capacità, sempre da parte sovietica, di cogliere quanto l’eventuale mobilitazione di milioni di persone sia davvero difficile da controllare, anche per il regime sovietico.
Il 1989 è stato l’anno dei grandi cambiamenti: Walesa – a capo di Solidarnosc – volò a Roma per ringraziare Giovanni Paolo II per il sostegno alla libertà del popolo polacco; poi, si stabilirono relazioni diplomatiche ufficiali tra Santa Sede e Polonia. Nel corso di queste novità, il Papa faceva trasparire una grande fiducia nelle possibilità di Gorbaciov di far giungere l’Unione Sovietica ad una democratizzazione del sistema ancora totalitario.
Così avvenne che in Polonia, il 24 agosto, Tadeusz Mazowiecki – amico del Papa da lunga data – diviene capo del governo. In Germania Est le continue manifestazioni di protesta nelle città spingono il leader comunista Honecker al ritiro. In Ungheria, Imre Poszgay, traghettò il paese alla democrazia: il suo paese – dichiarò – “non era più comunista”. In Cecoslovacchia, la “Rivoluzione di velluto” portò alla caduta del regime, seguì poi, la Romania. Ma, in particolare, il 9 novembre cadde il Muro di Berlino.
Giovanni Paolo II, in un colloquio con il corpo diplomatico, un mese dopo i fatti, enunciò questa cronologia dei fatti come “le tappe di un lungo pellegrinaggio verso la libertà”.
In seguito, ad un giornalista che gli chiese ulteriori lumi sulla matrice, origine di questo pellegrinaggio, aggiunse solo che “La Provvidenza ha preparato il cammino”.
La grande forza di rinnovamento di San Giovanni Paolo II può essere interamente riassunta nella suddetta frase: non sono state le sue parole o i suoi gesti, ma la Provvidenza ad agire e a compiere una rivoluzione!
Oggi, a trenta anni di distanza, rileggere la storia e il ruolo di Karol Wojtyla nella caduta del muro di Berlino, come di tutto il Regime comunista, può essere un metro per la comprensione del perché siano stati eretti di nuovi muri. Si, è vero, dopo l’89 ci si è illusi di aver visto la fine definitiva dei muri. Invece, ci sono ancora tante barriere da abbattere.
Richiamare alla memoria la storia di questa liberazione non deve però far dimettere la speranza e, soprattutto, l’impegno perché crollino nuove e vecchie barriere, in Europa, in America e nel mondo intero, perché, presto o tardi, tutti i muri sono destinati a crollare: si tratta solo di accelerarne la caduta come fece San Giovanni Paolo II!
Germano Baldazzi

(Testo di riferimento per rileggere il pensiero e l’operato di Karol Wojtyla, si consiglia: A Riccardi: “ Giovanni Paolo II la biografia ”)

KAROL WOJTYLA, IL GRANDE NEMICO DEL MURO
Una foto d’archivio del 23 giugno 1996 di Giovanni Paolo II davanti alla porta di Brandeburgo a Berlino, con l’allora cancelliere Helmut Kohl (c) e il sindaco di Berlino Eberhard Diepgen (d). ANSA / Wolfgang KUMM

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