L’asso nella manica
E’ un modo di dire tra i più noti al mondo. Equivale a dire che c’e’ qualcuno che ha un segreto atout, un colpo di teatro, una mossa inaspettata che può mettere sotto scacco chi gioca la medesima partita.
Si usa dire di averlo nelle indagini giudiziarie contro chi si ritiene inafferrabile, o quando una squadra sportiva ha incamerato nelle proprie fila un campione che nessuno si aspettava. Chi si accinge ad una conquista, chi si vanta di poter raggiungere uno scopo senza temere di essere soppiantato, tutti pensano di avere “un asso nella manica”. Capita spessissimo in politica, molte volte di più di quante poi questo asso sia vincente.
Ma, per la storia che voglio raccontare oggi, è il titolo di un famosissimo film del più caustico e dannatamente bravo cineasta americano (secondo me) degli anni 50 – 60 del secolo scorso: Billy Wilder.
La storia la racconto per chi non la conosce.
In formato bianco e nero, senza colore, succede che un povero cristo finisce in una miniera abbandonata , impedito a muoversi e liberarsi da solo da una serie di pesanti travi e macigni che comunque lasciano libera la grotta e la possibilità a lui di essere visto, di comunicare, quasi di essere toccato.
Un ambizioso reporter alle prime armi viene inviato lì dal suo editore per tirarci fuori quattro righe pruriginose, per fare di una tragedia un vero e proprio dramma. In questo scampolo di provincia americana isolata e dimenticata da quasi tutti, il giornalista interpretato da Kirk Douglas ,oggi centenario in quella che forse è la sua più grandiosa interpretazione, si anima non poco e con la scusa di raccontare giorno per giorno la vicenda del salvataggio del povero malcapitato infermo nel fondo della grotta, mette al primo posto la spettacolarizzazione dell’impresa americana al servizio delle persone in difficoltà. E quindi vengono ingaggiate trivelle di ultimissima generazione, mezzi da scavo della massima efficienza e quello che più stride e che in poco tempo si scatena un dibattito su cosa sarebbe meglio da fare per arrivare alla grotta.
Si aprono piccoli bar, una giostrina, un ristorante, un motel, insomma tutti sono indaffarati ma nessuno si occupa davvero dell’uomo ferito che dopo aver tanto atteso alla fine crepa. E d’incanto tutto sparisce nel deserto, e il film finisce con la coda delle voci di chi continua ad affermare che sarebbe stato meglio fare così, anzi no colì.
Ecco a me questa storia pare il paradosso della questione che riguarda la nascita del polo di alta diagnostica a Latina.
In molti, troppi, parlano di sistemi, disquisiscono di particelle, di come macinare di più la farina, di prendere tempo perché ogni ora che passa la scienza trova nuovi sistemi, sempre migliori. Nel frattempo, invece di prendere una decisione perché quel macchinario sia utile a chi ne ha davvero bisogno, le persone malate, quelle vere nelle cui vene scorre ancora il sangue, non sono affatto parte in causa. Si discute di tutto meno che dei loro bisogni, di cosa serve subito per salvargli la pelle e migliorargli la qualità della vita.
A furia di fare le cose ottimamente si rischia di non farle bene, diceva una persona, piena di vita e di ardore umano, a me cara. Ed io giro il breve detto alla mia amministrazione comunale, in nome e per conto di tutte quelle persone che oggi sono in attesa di trapianto per continuare a vivere .
Agostino Mastrogiacomo