Scrittore Sumero: chi non si sporca, non lavora
Campo di calcio, polvere e fatica, corre l’ala destra, crossa l’ala sinistra, calcia il centromediano, tutti giocano, si sporcano, sbagliano, si fanno male, segnano, ma c’è qualcuno che in campo guarda l’arbitro e impreca perché ha sbagliato ad assegnare la punizione, guarda l’ala della sua squadra e ci litiga perché ha mancato il passaggio, guarda il centravanti e lo riprende perché è in fuorigioco, gesticola con il guardalinee perché la rimessa era sua, occhiataccia al portiere, non ha capito che doveva passargli la palla bassa. È solo uno in squadra che è così, tante parole e pochi fatti. Un uomo in meno, giudica e ancora non ha toccato palla, ma se non la tocca la colpa è dei compagni, che non sanno passarla. Lui è un’altra cosa, un giocatore superiore, uno che se potesse trasformerebbe la polvere in un manto erboso verdissimo, uno che se gli passassero bene la palla prenderebbe l’angoletto con un tiro liftato, uno che potrebbe fermare il gioco e spiegare il regolamento all’arbitro. Magari lo interpreta male.
Lui è un’altra cosa. Si, è un’altra cosa, non è un calciatore. Il calciatore segna e sbaglia. Non ha una squadra, anzi non si sente di una squadra. Lui verrà, prima o poi sostituito, non perché ha sbagliato, come gli altri, perché è un peso, un disfattista.
Cinquant’anni fa moriva Ernesto Che Guevara e insieme a Fidel Castro mentre iniziarono la rivoluzione stabilirono una regola: avrebbero fucilato chi tra gli uomini fosse stato un traditore, un disertore o un disfattista. Con queste tre categorie di persone le rivoluzioni o i cambiamenti non si ottengono. Con queste persone le squadre hanno un giocatore in meno. Purtroppo in tanti si sono o si stanno facendo abbindolare da questi disfattisti immacolati, prima per rabbia, ora per ambizione diretta. Le squadre non giocano più, le comunità si fermano e si disgregano, altro che cambiamento. Cambiamento in annullamento. Non si fa più niente perché gli altri sono stati colpevoli ed ora sono cattivi, in malafede.
Quando i vecchi sindaci democristiani ottenevano l’ufficio postale nel proprio piccolissimo paese di collina salvavano l’esistenza di una comunità, che,magari presidiava il dissesto idrogeologico, che in un territorio come il nostro è tema quotidiano.
Ora siamo razionalizzatori purificatori del marcio e contro la spesa pubblica, custodi del patto di stabilità. Non preveniamo lo spopolamento urbano, ma l’avviso di garanzia oppure la corte dei conti. Ancora paghiamo la stagione di tangentopoli e non per la corruzione. A un popolo, a una comunità servono, nel senso di servire, atto umile, ma anche di forte professionalità, le donne e gli uomini che sanno assumersi responsabilità, sbagliare, costruire, sporcarsi; chi non si sporca è chi non lavora, chi chiude una scuola perché non ha saputo impegnarsi, ma solo dire non è colpa mia. Quanta fatica hanno fatto i nostri nonni per aprire le scuole, quanta fatica fanno in Africa per aprire una scuola e quanto è facile chiuderla, vero, amministratori puliti?
A Pomezia il Sindaco non vuole l’autostrada Roma – Latina; la sua città fu costruita in diciotto mesi. Il Sindaco di Torino si accorge che servono i fasciatoi; in altri tempi si costituiva l’Opera Maternità ed infanzia. A Roma la “Sindaca” e nel resto d’Italia le sue emule giocano con le definizioni femminili delle cariche; Nilde Iotti dal 1948 ne riempiva il ruolo. Non viviamo di nostalgia, riprendiamoci il futuro, viviamo di coraggio.
Scrittore Sumero