SENTENZA ABORTO USA, ACLI: VITA VA SEMPRE DIFESA MA È COMPITO DELLA POLITICA TROVARE MEDIAZIONE ED EVITARE MODELLO CONTRAPPOSITIVO

Per un cristiano la vita umana è sacra e meritevole di tutela in ogni sua parte ed in ogni momento, dal concepimento fino alla morte naturale: questa premessa di valore per un’associazione come la nostra deve orientare ogni giudizio.  La sentenza della Corte suprema degli Stati Uniti interviene per via giudiziaria su di una questione che è squisitamente politica ed etica.  Certamente anche la sentenza del 1973, che riconosceva l’aborto come un diritto costituzionalmente protetto, era un atto politico, poiché i giudici della Corte suprema sono nominati ad insindacabile parere del Presidente degli Stati Uniti.  Tuttavia non è possibile che tocchi al potere giudiziario definire questioni che spettano ai legislatori, i quali sembrano fuggire dalle loro responsabilità.  L’aborto non può mai essere considerato un diritto e nemmeno la legislazione italiana lo considera tale: e tuttavia la politica ha il compito di evitare che, di fronte ad un problema oggettivo, le contrapposizioni ideologiche degenerino in una permanente frattura sociale da cui possono germinare i semi della violenza e dell’odio.  Ci sembra che anche il dibattito italiano sulla sentenza Dobbs risenta di questo modello contrappositivo, legato oltretutto, come già quello sull’eutanasia da una concezione privatistica della vita, della morte e dei diritti soggettivi di cui già la pandemia e la guerra ci hanno dimostrato la fallacia.   Per questo, come ACLI, riteniamo che la politica debba riprendere la sua funzione di mediazione uscendo dalla sindrome di un linguaggio inutilmente bellicista e contrappositiva

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