L’ORCHESTRA DEL TERZO TIPO E IL POTERE DELLA MUSICA
La musica come mezzo per superare gli stereotipi e per favorire il benessere di tutti. È questo il messaggio che è alla base del concerto organizzato dalla Scuola di Popolare di Musica Donna Olimpia che si svolgerà, il 7 maggio prossimo a Roma, presso l’Auditorium di CasAcli, in Vicolo del Conte 2, a partire dalle ore 18,00. L’evento chiuderà l’ottava edizione di un progetto di Orchestra integrata che ormai è diventato un modello in Italia e all’estero per la promozione della pratica musicale come fonte di benessere per la persona e come superamento dei pregiudizi radicati intorno alle persone con difficoltà. Ne abbiamo parlato con l’equipe musicale del progetto che è composta da Paolo Pecorelli, Federica Galletti, Emanuele Bruno e Emanuela De Bellis
Orchestra Ravvicinata del Terzo tipo, da dove viene questo nome?
Paolo Pecorelli: il nome in verità deriva dal cammino percorso in questi anni dal progetto. Per le prime edizioni l’ensemble era stato definito in maniera piuttosto generica come “Orchestra Integrata” ponendo l’enfasi piuttosto sui titoli dei vari spettacoli messi in scena, ciascuno legato ad un tema musicale da esplorare. Così ad esempio la prima edizione basata soprattutto sulle “memorie musicali“ dei destinatari del progetto si intitolava “I Ricordi le Persone” o ad esempio la seconda, incentrata sulla musica da film, “Tracce Sonore”. Ma era chiaro che prima o poi avremmo dovuto trovare un nome efficace, un marchio che rendesse subito l’idea della natura speciale di questo ensemble. Così nel corso della quinta annualità del progetto – dal titolo “Incontri Ravvicinati” con musiche attinenti al tema dello spazio cosmico – abbiamo avuto l’intuizione del nome Orchestra Ravvicinata del Terzo Tipo. Il riferimento ovvio è al famoso film di Steven Spielberg “Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo” e nel nostro caso ci è parso che avesse una serie di valenze ulteriori. Se nel film si parla dell’incontro con gli alieni, il nome della nostra Orchestra vuole da un lato abbandonare il riferimento all’integrazione come atto di quasi nascondimento delle differenze, in favore dell’incontro tra persone diverse, della comunità di intenti musicale e relazionale; dall’altro presentare un nuovo tipo di ensemble musicale la cui ricchezza è costituita proprio dall’eterogeneità, dall’alterità, dalla vicinanza costruita attraverso la musica.
Ci raccontate quando e come vi è venuta l’idea di questo progetto?
Paolo Pecorelli : possiamo certamente dire che il progetto incrocia perfettamente la missione originaria della Scuola Popolare di Musica Donna Olimpia che da sempre consiste nel considerare l’apprendimento musicale come una possibilità per tutti senza distinzioni. L’impiego della musica come strumento per favorire il benessere della persona costituisce quindi da sempre uno dei principi ispiratori dell’azione didattica, sociale e culturale della nostra Scuola. Il percorso della creazione di un’orchestra integrata rivolto ai pazienti disabili adulti – che ha assunto nel tempo il nome di Orchestra Ravvicinata del Terzo Tipo – nasce circa otto anni fa dall’affidamento del progetto da parte del personale sociosanitario della ASL RM 1 e con il sostegno finanziario del Comune Di Roma – Dipartimento Politiche Sociali Benessere e Salute. Da quel primo incarico il progetto si è via via consolidato, giungendo a questa nuova edizione sostenuta dai fondi dell’8×1000 della Chiesa Valdese e dal contributo di Banca Intesa e con il contemporaneo patrocinio e supporto organizzativo di alcune importanti realtà istituzionali tra cui: l’assessore alla Salute della Regione Lazio Alessio D’Amato, il dott. Egidio Schiavetti, l’ASL RM3, il SAISH Servizio per l’autonomia e l’integrazione della persona disabile, la dott.ssa Sgroi e la dott.sa Rosanna Clementi, la dottoressa Maria Barbara Alliegro e il Dott. Riccardo Marini del servizio disabili adulti, Irene Magagnini e lo staff tutto della Cooperativa Sociale Agorà.
Il 7 maggio è un evento che conclude un percorso, che cosa fate durante l’anno?
Emanuele Bruno: si potrebbe dire che ogni edizione del progetto ha una storia a sé, e che ogni anno rappresenta un nuovo inizio sia pure all’interno di un quadro concettuale e un approccio metodologico ormai ben rodati dopo otto anni di lavoro. In questa nuova edizione del progetto ci siamo trovati a lavorare con un nuovo gruppo di destinatari in carico ai servizi di assistenza alla persona della Cooperativa Sociale Agorà e i loro operatori sociosanitari. In tutto il lavoro di costruzione dell’ensemble dura circa 9 mesi con incontri a cadenza settimanale presso il Teatro Di Villa Pamphilj che da tempo ospita questa residenza culturale ed artistica. C’è stata quindi stata una prima fase, di esplorazione e conoscenza reciproca. La nostra equipe ha pian piano dovuto entrare in relazione con i nuovi partecipanti al progetto. Allo stesso tempo gli utenti hanno cominciato a conoscere noi, a rapportarsi con le nostre modalità di intervento e lavoro e a mettersi in gioco in qualcosa che, per la maggior parte di loro, era totalmente nuovo. Abbiamo indagato rispetto alle loro “storie sonore”, ai loro ascolti, fino a trovare il giusto compromesso tra il nostro modello di lavoro consolidato e le loro proposte. Una volta definito il programma dei brani da eseguire e l’arrangiamento degli stessi, abbiamo iniziato a lavorare brano dopo brano, proponendo esercitazioni musicali via via sempre più complesse e successivamente provando prima le varie sezioni separatamente e poi l’intera orchestrazione, accompagnata durante tutto l’anno da pianoforte e basso. Nell’ultima fase di lavoro la formazione è stata arricchita, come di consueto, dall’ingresso di alcuni insegnanti della Scuola Popolare di Musica Donna Olimpia completando l’organico dell’Orchestra Ravvicinata del Terzo Tipo con anche altri strumenti.
Alla base del progetto c’è l’integrazione, potete dire che ci siete riusciti, che non si tratta di un luogo comune ma la musica è davvero fondamentale per superare ogni barriera?
Emanuela De Bellis: la musica è prima di tutto linguaggio e relazione: non è solo uno strumento, ma proprio uno spazio costruito su categorie diverse da quelle standard. Per questo motivo è in grado di connettere persone con linguaggi, strutture di pensiero, culture anche molto diversi tra loro. Per fare musica insieme è necessario relazionarsi, e allo stesso tempo la musica genera l’occasione per l’incontro. Inoltre la pratica musicale lascia spazio ad abilità diverse da quelle che vengono solitamente richieste nella società: la creatività, il pensiero divergente, il simbolico, sono aspetti che caratterizzano l’arte in sé, e che sono patrimonio dell’essere umano. Quando si parla di disabilità, si fa riferimento a quelle abilità specifiche di adattamento a questa società, non a quelle artistiche. Per questo attraverso la musica l’integrazione funziona: non siamo solo noi a includere loro nella nostra pratica musicale, anche loro includono noi in una modalità di accesso all’esperienza artistica unica, completamente diversa dalla nostra, e quindi estremamente feconda da un punto di vista creativo.
Per una persona diversamente abile fare musica può essere è un modo per superare stereotipi ma per un insegnante cos’è?
Federica Galletti: per gli insegnanti è un’occasione preziosa per rivedere e ripensare il proprio modo di lavorare. Significa domandarsi, ancora più del solito, se il modello offerto sia efficace e se si sia veramente in grado di costruire un ambiente di apprendimento sereno, accessibile, significativo e funzionale. Significa trovare nuove strategie didattiche e canali più chiari di trasmissione, rimanendo, però, profondamente se stessi. Significa infine, proprio per questo motivo, fare i conti con le proprie fragilità e con i propri limiti. Significa quindi fare bene il proprio lavoro superando anche qui uno stereotipo: non c’è bisogno di essere speciali per lavorare con persone con disabilità, c’è bisogno di essere di essere molto professionali.
L’orchestra è anche un luogo di sperimentazione
Emanuela De Bellis: assolutamente sì. Proprio perché, come dicevamo prima, il punto di partenza è l’incontro tra soggettività molto diverse tra loro. Ci siamo noi operatori musicali, ci sono le e gli utenti, ci sono i musicisti professionisti, e gli operatori sociali. Per creare un percorso che sia orizzontale, e non calato dall’alto, e che metta in grado di rimescolare le risorse, lasciando a tutte e tutti uno spazio espressivo e creativo, la sperimentazione è l’unico mezzo. Ogni anno il gruppo cambia, nella sua composizione ma anche, con le stesse persone, nel trasformarsi naturale delle relazioni, degli arricchimenti reciproci. Ogni anno quindi, e negli ultimi due anni in modo particolare, si rimettono in discussione le categorie, i nuclei, i processi di co-costruzione e di autonomia, le pratiche compositive, quelle improvvisative. E questo si riflette sulle scelte artistico musicali.
Il 7 maggio ci sarà la partecipazione di alcune personalità pubbliche. Quanto è importante il coinvolgimento degli enti governativi e cosa vi aspettate?
Paolo Pecorelli: Possiamo dire forse cosa speriamo. Un’impresa simile necessita di grande attenzione, risorse e competenze in tutte le fasi della sua attuazione. Potremmo dire che la principale debolezza è rappresentata dalla precarietà data dalla natura annuale dei finanziamenti, con il rischio di chiusura del progetto sempre dietro l’angolo. Il nostro obiettivo di lungo termine infatti sarebbe quello di reperire le risorse necessarie a trasformare la nostra Orchestra in un servizio più stabile attorno al quale si possa programmare in base ad un orizzonte temporale più lungo, raggiungendo anche un numero più ampio di destinatari. Ci piacerebbe inoltre che la nostra esperienza si configuri come un territorio di dialogo tra il privato sociale, le organizzazioni del Terzo Settore e le istituzioni. In passato le nostre principali difficoltà sono spesso derivate dalla difficoltà di dialogare con le nostre controparti istituzionali. Alla fine del 2020 ad esempio il percorso di collaborazione con l’ASL RM1 si è bruscamente interrotto per via di un’applicazione delle norme sulla rotazione degli appalti pubblici a nostro avviso profondamente sbagliata. Un progetto del genere basa la sua forza anche e soprattutto sulla continuità delle relazioni umane, su un lungo periodo durante il quale risulta addirittura possibile migliorare le abilità dei destinatari. Operare secondo una logica di rotazione indiscriminata produce una seria distorsione dei necessari criteri di competenza, affidabilità ed esperienza nell’affidamento di progetti simili nell’ambito del Terzo Settore.
Si può parlare di un modello che state lanciando? Si è già creata un rete di questi progetti anche a livello nazionale e internazionale?
Federica Galletti: Non ancora ma se ne potrebbe parlare. Non siamo stati certo i primi a proporre dei progetti musicali dedicati alla disabilità, siamo però tra i pochi che hanno determinate caratteristiche. A differenza di altre realtà simili, nel nostro pensiero l’integrazione non avviene cercando uno spazio dove essere accolti ma creando un luogo dove accogliere. Significa ribaltare la prospettiva “integrando”, per esempio, nel nostro ensemble, i musicisti professionisti che si aggiungono nella fase finale del percorso e il pubblico durante la performance finale.
Per citare Giovanni Piazza, grande didatta e maestro recentemente scomparso, ricerchiamo infatti l’armonizzazione delle diversità. Tutto questo, unito alle caratteristiche dell’equipe che conduce il progetto (quattro musicisti/insegnanti con competenze e esperienze nel campo del sociale, della musicoterapia, della conduzioni di gruppi con necessità speciali e della psicoterapia dell’età evolutiva), ci rende abbastanza unici ed efficaci da poter pensare alla possibilità di modellizzare l’esperienza.
A differenza della musicoterapia che ha reti nazionali e internazionali, questo tipo di lavoro, nonostante alcune realtà virtuose, è ancora abbastanza frammentato.
L’interesse crescente verso questo genere di attività può, però, far ipotizzare la creazione di una rete in un futuro, speriamo prossimo. La situazione all’estero (abbiamo presentato il progetto dell’Orchestra al Forum Internazionale Orff-Schulwerk a Salisburgo nel 2018 e abbiamo potuto osservare il lavoro di altri colleghi) invece è diversificata e rispecchia esattamente il livello di organizzazione sociale e politica di ogni paese.
Per la nuova edizione cosa state preparando?
Emanuele Bruno: in base a quello che ha detto poco fa Paolo, speriamo vivamente ci possa essere una nuova edizione! Provocazione a parte, spesso, durante le prove, vengono fuori idee rispetto a cosa si potrebbe fare nell’edizione successiva. A volte è dalle qualità di un particolare utente che nascono le idee per elaborare proposte nuove. Ogni anno poi cerchiamo di introdurre degli elementi di novità e ci piacerebbe in futuro rafforzare la forza ritmica dell’Orchestra integrando l’equipe di lavoro con percussionisti professionisti. Questo nuovo gruppo di destinatari poi ci suggerisce forse un approccio più libero e fluido nella costruzione degli arrangiamenti musicali e una grande disponibilità a mettere in gioco diverse competenze, ad esempio coreutiche. Abbiamo notato durante questo ultimo anno che lasciare loro lasciare loro maggiore libertà interpretativa potrebbe costituire una nuova base su cui rafforzare le competenze musicali di questo nuovo gruppo. Anche la recitazione e la danza potrebbero quindi avere un ruolo di ampliamento del progetto da affiancare alla musica con lo stesso fine, quello di evidenziare gli aspetti di libertà creativa del progetto.
Luca Rossi
Veramente molto interessante!
Davvero un piacere leggere questo articolo…oltre la disabilità e l’inserimento che abitualmente si leggono! Che bell’orchestra!