QUIRINALE TRA TATTICHE E STRATEGIE
(di Massimo De Simoni)
La seconda fumata nera ci consegna l’immagine di una politica impegnata, prima ancora che ad individuare un nome, a capire se proseguire o chiudere la fase che ha visto prevalere i cosiddetti “tecnici” sui politici.
Lasciare Draghi a Palazzo Chigi (ammesso che sia disposto a rimanere con qualunque nuovo Presidente della Repubblica) sarebbe una scelta che andrebbe nel senso di un ritorno della politica (e dei politici!) nella gestione delle questioni di governo; in diversi infatti vedrebbero questa ipotesi come l’occasione per ribadire che tutti siamo utili ma nessuno è indispensabile. Il vero problema è capire se il Paese in questo momento può davvero andare in quella direzione e se l’alternativa è quella delle trattative che in queste ore sembrano ruotare più intorno al governo che verrà, che non sul Quirinale, con persone che avanzano richieste di ministeri e posizionamenti vari.
E’ infatti chiaro che un Draghi che rimane a Palazzo Chigi equivale ad un Draghi che al massimo tra un anno è destinato ad uscire di scena, mentre un suo trasferimento al Quirinale lo manterrebbe al centro della scena politica, peraltro con il protagonismo politico che – ormai da qualche decennio – ha assunto la funzione svolta dai presidenti della Repubblica; stupisce che, in questo quadro politico, alcuni sostengano la necessità di non mandare Draghi al Quirinale per non indebolirlo.
Le 672 schede bianche della prima tornata e le 527 della seconda tornata ci dicono che la fase di stallo non è dovuta alla mancanza di una maggioranza, ma piuttosto al tempo che serve alle forze politiche per trovare una quadra sull’assetto che seguirà all’elezione del nuovo Presidente della Repubblica; del resto questo appuntamento poteva avere uno svolgimento diverso, vista l’ampia maggioranza che è impegnata a sostenere il governo nella consapevolezza dell’eccezionalità del momento.
A questo punto un eccessivo allungamento dei tempi potrebbe nuocere seriamente alla ricerca di un accordo largo, perché con il passare dei giorni nei partiti crescerebbe la tentazione (anche legittima) di posizionarsi e differenziarsi attraverso la proposta di nomi “di bandiera”. E’ uno scenario che rischierebbe di far nascere la nuova presidenza della Repubblica in un clima di divisione e contrapposizione, di far prevalere le valutazioni tattiche rispetto alle valutazioni di carattere strategico, ovvero esattamente il contrario di ciò che in questo momento storico necessita al Paese.
Infine, anche questa volta si assiste al teatrino dei grandi elettori che votano per cantanti o altri personaggi non interessati alla vicenda istituzionale e ci si interroga sull’adeguatezza di alcuni “rappresentanti dei cittadini”.