C’è ancora bisogno del sindacato in Italia? Recuperare il “noi” e il “pensiero lungo”
di Ivan Simeone
Direttore CLAAI Assimprese Lazio Sud
“C’è ancora bisogno del sindacato in Italia”?
E’ questa la domanda provocatoria e, contestualmente, propositiva e stimolante che ha lanciato sul tavolo l’amico Paolo Capone, Segretario Generale dell’UGL.
La domanda che pone Paolo Capone scaturisce nell’ambito della presentazione dell’interessante saggio di Ada Fichera, giornalista ed esperta in comunicazione politica e istituzionale, “La Storia è Domani” edito dalla Casa editrice “Edizioni Sindacali” –info@edizionisindacali.it-, un percorso valoriale nel mondo del sindacalismo; ma prendendo spunto dalla nostra “domanda provocatoria” e cerchiamo di fare qualche brevissimo ragionamento che vale sia per le Organizzazioni sindacali dei lavoratori come quelle dei datori di lavoro come la nostra CLAAI Assimprese.
Viviamo oggi una situazione paradossale e, per certi versi, un tantino anche schizofrenica.
Da una parte la comunità reale, i cittadini ed il mondo del lavoro nella sua complessità, chi giornalmente “alza la serranda” per produrre reddito per se e per i propri collaboratori, quella “comunità operosa” che, mai come oggi, ha la necessità di avere soggetti volti alla loro rappresentanza e punti di riferimento nell’ambito dei servizi sociali. Dall’altra vi è una volontà –ormai neanche tanto strisciante- di relegare i “corpi intermedi” all’angolo del dibattito politico ed economico, cercando di delegittimarli nel concreto se pur in maniera molto garbata.
Il nostro tempo sta cercando di abbattere quelle “camere di compensazione sociale” che sono le Organizzazioni sindacali in generale, cercando di creare sempre più un rapporto diretto tra l’individuo, il singolo cittadino e il potere politico, privando così d’ogni potenziale sostegno “il singolo” che rischia di trovarsi “nudo” dinanzi alle lobby finanziarie e politiche, dimenticandosi il ruolo -a volte anche determinante- che i sindacati, d’ogni colore e comparto, hanno avuto nella gestione delle crisi sociali.
Il problema è anche d’ordine squisitamente politico-partitico.
Questo sistema elettorale non permette più di avere una rappresentanza diretta degli interessi diffusi nel Paese; prima il mondo della rappresentanza d’impresa come la rappresentanza dei lavoratori era direttamente presente nelle Camere con propri rappresentanti eletti direttamente, che riuscivano a “far girare” quella cinghia di trasmissione tra la società reale e il potere politico e quindi il potere legislativo.
Oggi questa cinghia si è rotta e si rischia una rappresentanza politica auto referenziata e dettata dalle segreterie dei vari partiti politici che non regge più.
Mi ricordo i tanti amministratori locali espressione della CISNAL che portavano avanti le loro battaglie sociali e politiche Circoscrizione dopo circoscrizione, Comune dopo Comune generando una comunità umana prima ancora che politica e sociale.
Come non rammentare l’importante e bella esperienza politica della “sinistra sociale”, “Forze Nuove” all’interno della Democrazia Cristiana, che rappresentava il mondo del sindacalismo cattolico, con i suoi parlamentari e amministratori locali, con i suoi Centri Studi e con le sue riviste come la “Terza Fase”? Come dimenticare la storica mediazione politica dell’allora Ministro Carlo Donat-Cattin tra Governo, forze sindacali e rappresentanti delle imprese?
Era certamente un’altra stagione ma vi era un humus valoriale non indifferente di cui oggi si sente la mancanza.
E quindi? Vi è ancora bisogno del sindacato in Italia?
Certamente sì ma bisogna avere il coraggio e l’umiltà, a tutti i livelli, sia datoriale che dei lavoratori, di rimettersi in gioco, di tornare tra le gente, tra i lavoratori e le imprese, di mettere in atto processi di rappresentanza guardando gli interessi delle categorie, strutture leggere e, contestualmente, professionalmente strutturate con servizi reali.
Bisogna ridare forza al valore della socialità e della sussidiarietà che deve vedere i corpi sociali e le organizzazioni datoriali/sindacali ai tavoli della programmazione partendo dai Comuni, dagli Enti locali, quella sussidiarietà circolare tanto ragionata dal Prof. Stefano Zamagni, punto di riferimento basilare per il dibattito sociale e dei corpi intermedi.
Le Organizzazioni non possono né devono intervenire solamente al momento della crisi avvenuta, non possono essere i notai delle crisi ma anticiparle.
Bisogna ricreare quella “cinghia di trasmissione” diretta tra la politica e il mondo sociale, non mediato da questa o quella segreteria politica ma diretto. Questo non vuole essere una nuova forma di collateralismo ma rappresentanza diretta degli interessi del mondo del lavoro e dell’impresa, ognuno nei propri ruoli, ognuno con i propri valori.
In definitiva rappresentanza forte e concreta, al fianco di una rete professionale e moderna di servizi per la comunità, in una nuova strategia organica e nell’ottica di un rinnovato “nuovo welfare”, che vede il mondo privato, il movimento sindacale e le Istituzioni in un’azione sinergica.
Bisogna recuperare nell’azione sociale quel “noi” di cui ha parlato egregiamente il Ministro Giorgetti intervenendo qualche giorno fa al meeting di Rimini, organizzato dagli amici di Comunione e Liberazione. Bisogna tornare al “pensiero lungo”. Questo in politica come nell’impegno associativo e sindacale, datoriale come quello dei lavoratori.
Questa stagione di pandemia ha messo in risalto come in momenti di emergenza i corpi sociali, il terzo settore, il mondo sindacale sia riuscito a dare immediate risposte. Questa deve essere la nostra strada futura, di un futuro che è già presente.