POMPEI, IPOTESI ETRUSCA
Il greco Strabone ne faceva risalire le origini agli Osci, una popolazione di ceppo sannitico della Campania preromana. E per tanti secoli si è pensato che il celeberrimo geografo degli antichi avesse ragione. Ma sulla fondazione di Pompei, avvenuta almeno 700 anni prima della sua tragica fine, è di fatto sempre rimasto il mistero. Una nebbia che i risultati delle ultime campagne di scavo avviate nel parco archeologico patrimonio dell’umanità sembrano ora stemperare con una serie di ritrovamenti che raccontano un’altra verità: quella di una città etrusca “per lingua e per cultura”, seppure costruita con uno stile tutto suo, che poco o niente ricorda quello della madrepatria.
A parlarne il direttore del parco archeologico Massimo Osanna – da settembre alla guida anche della direzione generale dei musei del Mibact – che qualche giorno fa, insieme con l’archeologo Carlo Rescigno, accademico dei Lincei professore di archeologia classica all’Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha presentato le nuove scoperte all’Accademia dei Lincei, in una tavola rotonda con alcuni dei nomi più blasonati del settore, da Fausto Zevi, accademico dei Lincei e professore emerito di storia dell’arte greca e romana alla Sapienza di Roma, a Carmine Ampoli, emerito di storia greca alla Normale di Pisa e Pier Giovanni Guzzo, per tanti anni alla guida degli Scavi di Pompei, con l’introduzione dell’accademico Roberto Antonelli. Sarebbero stati insomma gli etruschi, molti secoli prima che la città diventasse una colonia romana, a fondare Pompei, a darle forma con le mura, ad organizzare le sue strade “seguendo il cielo e le stelle” come già avevano fatto per Tarquinia, Veio, Cerveteri, le città dalle quali sembrano essere arrivati i suoi primi abitanti. Uomini etruschi avrebbero fondato i primi santuari, a partire da quello fuori della città sulla via che dall’abitato portava al porto di Stabiae, snodo di fortunati traffici commerciali.
A spingere “con insistenza” verso l’ipotesi di una fondazione etrusca, spiega Osanna, sono innanzitutto degli oggetti: centinaia di anfore, vasi e ampolle tra cui oltre 70 coppe con iscrizioni ritrovate nello scavo del santuario costruito lungo la strada che collegava la città al mare, una costruzione a pianta rettangolare e a cielo aperto, riemersa a poche centinaia di metri dalle mura meridionali della città, in quello che viene indicato come il “Fondo Iozzino”, dal nome del suo antico proprietario. Il tempio era stato individuato già negli anni ’60 e scavato ancora negli anni ’90 – spiega l’archeologo – ma i reperti più interessanti e lo studio sistematico di questi sono cronaca dei nostri giorni, con la campagna di scavi avviata nel 2014. Un ritrovamento, sottolinea, che fa di Pompei “il luogo che ha restituito il maggior numero di iscrizioni etrusche fuori dall’Etruria”.
Già, perché molte di queste coppe recano graffiti con frasi rituali accompagnate dal nome di chi ha fatto l’offerta. E guarda caso si tratta sempre di nomi etruschi, alcuni dei quali mai ritrovati prima in territorio campano, ma ben conosciuti nei centri etruschi del centro Italia. Anche la divinità onorata, su questi oggetti indicata sempre con il generico “Apa” (“padre” in etrusco), sembra rimandare alla cultura religiosa etrusca. Un’evidenza che si ripete, fa notare l’archeologo, “per il santuario di Apollo, la principale area sacra pompeiana, prossima alla piazza pubblica” dove gli scavi storici e quelli più recenti hanno restituito coppe con iscrizioni “ancora una volta in alfabeto e lingua etrusca”. L’architettura anche del centro urbano invece è diversa, come dimostrano gli scavi recenti nel santuario di Apollo e nel Foro Triangolare. In qualche modo lontana da quella etrusca come del resto da quella greca. “A ben vedere si tratta di uno stile in generale assente nel pur ricco panorama di centri campani”, fa notare Osanna.
L’ipotesi è insomma quella di una città che viene fondata e costruita nell’arco di pochi decenni da un gruppo di persone, in parte forse anche schiavi liberati, una comunità di lingua e cultura etrusca che però per costruire mura, case e templi si avvale di “maestranze locali”, influenzate dal melting pot di culture che allora animava il territorio campano, dagli italici ai greci. Una comunità che dalle sue origini si contamina e si arricchisce di influenze diverse. Una città ricca e potente, che dominava il territorio e aveva nella vicina Stabiae un suo centro satellite; che aveva mille contatti e commerci e nello stesso tempo onorava i valori e i culti delle sue origini. Tutto questo fino ad un tragico stop. Che arrivò nel 474 a. C. e non per colpa del Vesuvio, come sarà cinque secoli più tardi per la colonia romana, bensì per le conseguenze di una storica battaglia navale, quella di Cuma, che i greci vinsero, appunto, contro gli etruschi. Pompei, che in quello “scacchiere internazionale” era schierata dalla parte della madrepatria, dopo quella battaglia di fatto sparì, abbandonata anche dai suoi abitanti. E un po’ come una damnatio memoriae, il buio che per decenni calò sulle sue case e i suoi santuari si portò via anche il ricordo dei suoi fondatori.