INTELLIGENZA COLLETTIVA, UN NUOVO PARADIGMA PER LA COSTRUZIONE DI UN MODELLO ECONOMICO INCLUSIVO.
L’ECONOMIA DELLA CIAMBELLA
di Ignazio Catauro
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Negli ultimi settant’anni il modello economico di matrice capitalista ha consentito a centinaia di milioni di persone di elevare le proprie condizioni materiali di vita. Tuttavia, questi progressi sono stati ottenuti imponendo un prezzo altissimo sia ai sistemi naturali che a quelli sociali.
Da una parte, inquinamento di aria, terra e acqua, cambiamenti climatici e perdita di biodiversità; dall’altra, livelli di diseguaglianza estrema e delegittimazione delle istituzioni democratiche che
È evidente che qualcosa non funzioni e che l’economia non può non essere “rivista e corretta” alla luce delle realtà e alle sfide del Ventunesimo secolo.
Non c’è più tempo, l’impresa quale “soggetto sociologicamente complesso” deve proporre al modo un approccio di tipo “ribaltante”: facendo ripartire l’economia del futuro, non dalle sue astrazioni, ma dagli obiettivi a lungo termine che l’umanità si è data, per poi chiedersi quale tipo di pensiero economico, e conseguentemente di azione, possono darci più possibilità di raggiungerli.
CINQUE “APPROCCI” PER IL CAMBIAMENTO
Sono cinque i fattori chiave attorno ai quali può ruotare il cambiamento: popolazione, distribuzione, aspirazione, tecnologia e governance. Il motivo per cui il tasso di crescita della popolazione mondiale è importante, è abbastanza ovvio: più individui abitano il pianeta, più risorse servono per soddisfare i bisogni e i diritti di tutti. Da qui discende la necessità di stabilizzare la popolazione umana. Come? Aumentando gli investimenti pubblici per la salute e l’assistenza dei neonati e dei bambini, per l’istruzione femminile, per la cura e la libertà di scelta in ambito riproduttivo e, in generale, per riequilibrare i poteri tra i generi in modo che le donne acquisiscano un ruolo centrale nella pianificazione famigliare.
Se la popolazione è rilevante, la distribuzione lo è altrettanto perché la concentrazione di ricchezza e opportunità in capo a pochi spinge il genere umano a valicare i cosiddetti “confini”. Pensare che il 10 % della popolazione più benestante emetta il 45% delle emissioni di gas serra, mentre il 50 % più in difficoltà contribuisce solo per il 13%, costringe inevitabilmente a riflessioni eticamente contrastanti. O al miliardo di persone che sono malnutrite, per cui basterebbe il 3% delle scorte alimentari mondiali che però si perde nelle pieghe di un sistema agro-alimentare che spreca, dalla fase di raccolto e stoccaggio fino al consumo a tavola, oltre un terzo del cibo prodotto.
Un terzo elemento determinante è l’aspirazione: tutto ciò che le persone ritengono dia qualità alle loro vite e che oggi si misura in particolare in termini di possibilità di consumo e luoghi che abitiamo. Da oltre un decennio, per la prima volta nella storia, oltre metà dell’umanità vive in metropoli e città, e tutte le proiezioni indicano che entro il 2050 il 70% dell’umanità vivrà dentro confini urbani.
L’inurbamento, però, oltre ad alimentare il consumismo offre l’opportunità di soddisfare i bisogni primari degli individui e delle famiglie, quali alloggi, trasporti, cibo ed energia, in modi molto più efficienti degli attuali. Sul 60% della superficie, che si stima diventerà urbana entro il 2030, si deve infatti ancora costruire e quindi la scelta delle tecnologie utilizzabili (quarto fattore chiave) avrà implicazioni ecologiche e sociali di grande portata: “network di impianti a energia solare sui tetti, edifici auto-riscaldanti o auto-rinfrescanti, trasporti pubblici a basso impatto e prezzo conveniente, agricoltura urbana e peri urbana che sequestra carbonio, aumenta la qualità dei cibi e offre nuovi posti di lavoro”.
Da ultima è la governance a giocare un ruolo decisivo, dal livello rurale a quello cittadino, dal livello statale a quello regionale e globale. L’innovazione delle forme di governance pubblica e privata che consentano di mediare le relazioni tra genere umano e natura ma anche le differenti aspettative tra Paesi, aziende e comunità, è il fattore che può innescare gli altri fattori chiave, (popolazione, distribuzione, aspirazione, tecnologia), guidandoli verso la transizione ormai non rinviabile.
SIAMO TUTTI COINVOLTI
Lo sforzo di proporre la visione di un’economia globale in cerca di un reale “Prospero Equilibrio” grazie alla sua concezione distributiva e rigenerativa, potrebbe apparire piuttosto ingenua, considerati i drammi che stiamo vivendo.
Eppure, c’è un sempre un crescente numero di persone che “sognano un’alternativa possibile” e sono impegnate con tutte le loro forze per realizzarla. La nostra è la prima generazione che ha compreso appieno il danno che abbiamo arrecato al nostro pianeta, la nostra casa comune, e probabilmente è anche l’ultima che ha la possibilità di fare qualcosa. E sappiamo benissimo che abbiamo la tecnologia, la conoscenza e i mezzi finanziari per porre fine alla povertà estrema in tutte le sue forme.
Non abbiamo più bisogno di individui smart ma di intelligenza collettiva che eserciti la capacità di un sistema complesso di correggere i propri errori e far evolvere la propria struttura. Si chiama auto-organizzazione ed è una leva formidabile per scatenare un pensiero rivoluzionario. (Donella Meadows, “Pensare per sistemi”)
Se i sistemi economici, che sono complessi, si evolvono, ogni esperimento contribuisce a orientare un nuovo futuro e rende tutti noi protagonisti di questa rivoluzione: quando apriamo un conto corrente in una banca etica e investiamo in nostri risparmi in base al valore sociale e ambientale prima che finanziario: “quando dentro il mondo dei GAS ci assumiamo parte del rischio di un piccolo agricoltore e sviluppiamo nuove piattaforme di distribuzione organizzata, quando da imprenditori o manager ci preoccupiamo realmente dei nostri impatti sui lavoratori e le lavoratrici delle nostre catene di fornitura, quando partecipiamo alle campagne dei movimenti politici e di opinione che condividono la nostra visione. Quando facciamo tutto ciò, SIAMO IL CAMBIAMENTO CHE VOGLIAMO VEDERE NEL MONDO”.
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COME SARÀ L’ECONOMIA DEL FUTURO? CIRCOLARE? ECOLOGICA? O COS’ALTRO?
L’emergenza legata alla diffusione del coronavirus è ancora drammaticamente in corso, ma quello che purtroppo già appare evidente è la forte ripercussione che avrà sulla società, sull’economia e sui singoli individui. Vi sono diversi modi di vedere in prospettiva l’economia del futuro, ce ne occuperemo nei prossimi giorni, eccone alcuni:
GREEN ECONOMY
Ovviamente un economia con un occhio di riguardo in più verso l’ambiente è ciò che dobbiamo prefiggerci per salvaguardare il pianeta, ma anche una sfida difficile. Un’economia basata su energie rinnovabili, mobilità elettrica, bioedilizia, turismo sostenibile, riciclo, ecc. Eppure sono tanti a credere nella green economy, tanto che il 97% degli investitori europei punta su aziende che adottano tecnologie verdi.
SUBSCRIPTION ECONOMY
Oggi non si compra più, ci si abbona! Quasi nessuno compra più un film, ma lo si guarda su Netflix. Quasi nessuno acquista un cd del proprio cantante preferito, ma lo ascolta su Spotify. Il futuro è in abbonamento. Già oggi si stima che l’85% degli europei usufruisca di un servizio in abbonamento.
CIRCULAR ECONOMY
L’economia circolare, permette di riciclare un prodotto, rendendo i materiali riutilizzabili all’infinito. Ciò permetterà di salvare il pianeta e l’economia.
BLUE ECONOMY
La blue economy, ideata da Gunter Pauli, si ispira agli ecosistemi naturali, dove tutto viene riutilizzato e niente viene sprecato. Gunter Pauli sostiene che la blue economy sarà l’unico modo per sfamare i nove miliardi di esseri umani che popoleranno il pianeta nel 2050.
SHARING ECONOMY
La condivisione ci aprirà le porte del futuro. La sharing economy ha rivoluzionato il mondo d’inizio 21esimo secolo. A partire dalla mobilità condivisa, al crowfunding e al coworking.
APP ECONOMY
Ovviamente non poteva mancare un’economia basata sulle applicazioni di smartphone e tablet. In media ciascuno di noi utilizza 35 app, per un giro d’affari enorme.
GIG ECONOMY
Gig vuol dire lavoretto. Ed è proprio di questo che stiamo parlando. Un panorama dove nessuno ha il posto fisso, ma tutti si occupano di fare “lavoretti”. I lavori sono gestiti online ed attraverso specifiche piattaforme. Il posto fisso è sostituito dai freelancer.
Ma su tutte svella la cosiddetta DIGITAL ECONOMY, una rivoluzione digitale a misura di persone.
AI, Big Data, IoT: la tecnologia ha trasformato il mondo in cui viviamo, e continua a farlo sempre più velocemente, rendendo realtà ciò che fino a pochi anni fa potevamo solo immaginare. Robot e macchine sempre più intelligenti costringono a chiedersi se ci sia ancora spazio per le persone in una società sempre più digitalizzata.
L’idea di Società 5.0, nata in Giappone, coglie queste trasformazioni mettendo le persone al centro del processo di innovazione. Combinando la creatività, l’immaginazione e la flessibilità dell’essere umano con le potenzialità offerte dalla trasformazione digitale, infatti, è possibile generare valore creando soluzioni veramente innovative, in grado di anticipare gli scenari futuri.
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LA GREEN ECONOMY
Di Ignazio Catauro
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La definizione di Green economy, che troviamo sul dizionario Treccani, è la seguente e risulta molto chiara:
“Modello teorico di sviluppo economico che prende in considerazione l’attività produttiva valutandone sia i benefici derivanti dalla crescita, sia l’impatto ambientale provocato dall’attività di trasformazione delle materie prime”. Dunque l’espressione Green Economy significa economia verde, ed sia lo studio dell’economia che dell’ambiente. Si tratta quindi di un tipo di economia che prende in esame non solo la produzione, ma anche l’impatto che essa avrà sull’ambiente, in modo da non pesare in maniera eccessiva sulla Natura.
La “Green Economy” è un tipo di economia che mira a far aumentare il prodotto interno lordo (PIL) con lo studio e l’applicazione di sistemi di produzione a ridotto impatto ambientale, in altri parole diminuire le emissioni di CO2 e quindi a diminuire l’inquinamento, dall’altra parte tendere a conservare l’ecosistema e a non danneggiare la biodiversità.
Con il termine Green economy si intende un modello teorico di sviluppo economico che vede la crescita legata alla valutazione dell’impatto che le azioni umane hanno sull’ambiente. Un modello economico volto a produrre benessere ed equità sociale, riducendo al minimo i rischi per l’ambiente. Si tratta di un’economia che alle ridotte emissioni di anidride carbonica, affianca un uso sempre consapevole delle risorse naturali e sempre più inclusiva dal punto di vista sociale.
La Green economy cerca quindi di innescare un meccanismo virtuoso, che permetta di gestire al meglio le risorse, ottimizzando quanto più possibile la produzione e portando ad una crescita del PIL.
Trattandosi di un’economia che mira alla riduzione di tutte le sostanze inquinanti, tra cui l’anidride carbonica, maggiore responsabile del cambiamento climatico del pianeta, è facile capire che un’economia di questo genere miri a salvaguardare la salute degli uomini e quella del pianeta.
In questo quadro l’ambiente viene infatti visto come un fattore di crescita economica per l’uomo, dal momento che l’impoverimento delle risorse e il consumo eccessivo delle materie prime comporta anche un aumento di prezzo delle stesse e quindi un danno dal punto di vista dell’economia. A questo si aggiunga che grazie ad un uso cosciente delle materie prime esistenti in natura, si potranno creare le condizioni per la nascita di attività green con conseguente sviluppo occupazionale. La creazione di nuovi posti di lavoro, che spesso vengono indicati in gergo con il termine inglese «green jobs», porta quindi ad un miglioramento del mercato del lavoro in moltissimi ambiti come l’agricoltura, la produzione di energie rinnovabili, la bioarchitettura, il riciclo e tanti altri settori.
Uno dei principali problemi che si incontra sulla strada della reale possibilità di realizzare concretamente un’Economia Verde è che richiede una trasformazione profonda della società, che spesso la comunità non è in grado ancora di mettere in atto o concepire. In primo luogo dovrebbe realizzarsi una reale presa di coscienza da parte delle aziende che devono farsi carico di quella che in inglese viene definita “corporate social responsibility”, responsabilità sociale d’impresa, che prevede l’impegno da parte dell’azienda di utilizzare nel processo produttivo, strumenti e tecnologie che mirino a impattare il meno possibile sull’ambiente. La Green Economy rappresenta inoltre l’unica arma reale per combattere la povertà nelle aree in via di sviluppo, dove la maggior parte dell’economia fa leva sulle risorse naturali.
GLI SCOPI DELLA GREEN ECONOMY
Quando pensiamo alle attività produttive puramente “green” ci vengono in mente le fonti di energia rinnovabile (eolico, solare, geotermico) o i sistemi di riciclaggio dei rifiuti (raccolta differenziata, termovalorizzazione). Eppure il mondo dell’economia verde è molto più vasto perché comprende tutta la riconversione sostenibile dei settori tradizionali. Facciamo qualche esempip:
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Industrie o edifici e uffici che si ristrutturano per favorire il risparmio energetico (infissi, riscaldamenti, dispersione del calore ecc.)
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Settori economici che mirano alla riduzione dell’impatto ambientale in attività di estrazione, trasporto, trattamento e trasformazione delle materie prime
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Innovazione tecnologica per la riduzione del materiale di scarto e dei rifiuti nei processi produttivi, con particolare riferimento agli imballaggi
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Innovazioni produttive per la riduzione delle emissioni di CO2 e altri inquinanti (filtri, monitoraggi, sistemi di controllo).
Ma quanto vale la Green Economy? Quali sono i numeri della Green Economy in Italia e in Europa? L’Economia Verde è cresciuta in modo significativo negli ultimi anni, ha attirato importanti investimenti e ha creato nuova occupazione.
Nei dati Eurostat su “Environmental economy – employment and growth” si legge che nei Paesi dell’Unione Europea la ricchezza prodotta dai settori dell’Economia Verde è passata da 135 a 289 miliardi di euro negli ultimi 15 anni, con un’incidenza sul Prodotto Interno Lordo europeo del 2,1% rispetto all’1,4% di 15 anni prima. Anche il fatturato della Green Economy è cresciuto in modo esponenziale, arrivando a quota 700 miliardi di euro.
A questi numeri si collega un boom dell’occupazione sostenibile: i “Green Jobs” sono aumentati in 15 anni del 49%, mentre l’occupazione nell’economia tradizionale è aumentata solo del 6%. In valori assoluti, nell’Unione Europa lavorano oggi 4,2 milioni di persone impiegate nell’Economia Verde, 15 anni fa erano solo 1,4 milioni.
Per quanto riguarda l’Italia, l’ultimo Rapporto “Greenitaly” conferma quanto sostenuto da Eurostat e mette in luce con ottimismo i progressi verdi anche nel nostro Paese. Le imprese italiane che hanno investito in prodotti e tecnologie Green per ridurre l’impatto ambientale, operare in termini di sostenibilità e abbassare il livello di emissioni di Co2, sono ben 355.000.
Visti questi volumi, la Green Economy italiana offre anche importanti opportunità di lavoro nei cosiddetti Green Jobs. Nel 2018 ci sono stati 320.000 nuovi posti di lavoro. Ma se allarghiamo lo sguardo a tutte le assunzioni che prevedono competenze green (dunque non soltanto a quelle riguardanti i Green Jobs in senso stretto), si arriva a oltre 2 milioni profili. In prospettiva, nel nostro Paese si stima nel prossimo futuro un incremento di circa 1 milione di lavoratori occupati nei Green Jobs, ed emergeranno nel settore nuove figure specializzate che avranno grande richiesta sul mercato.
RIDUZIONE DELL’INQUINAMENTO
Una finalità principale della green economy è ridurre l’inquinamento, responsabile dei cambiamenti climatici e minaccia continua per la salute dell’essere umano. Secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale per la Sanità) nel nostro continente 9 persone su 10 sono esposte a livelli troppo alti di inquinamento, con gravi ripercussioni sulla salute.
Ridurre questi livelli di inquinamento è possibile e le strade da seguire sono diverse. Come prima cosa occorre adottare politiche in campo energetico, in quello dei trasporti e dell’edilizia. Uno dei primi settori su cui intervenire sostanzialmente e quello della mobilità, favorendo lo sviluppo dei trasporti pubblici e l’uso di automobili elettriche, ibride o a gas, portando l’uso dell’auto a meno di 500 ogni mille abitanti.
In campo edilizio è di primaria importanza la riqualificazione degli edifici: basti pensare che 3/4 dell’emissione di particolato nell’atmosfera proviene dai riscaldamenti domestici. Ridurre l’inquinamento industriale incentivando all’uso di energie rinnovabili al posto delle più inquinanti permetterebbe un sostanziale cambio di responsabilità economica collettiva.
AUMENTO DELLE ENERGIE RINNOVABILI
Altro aspetto determinante perché possa rendersi realizzabile l’affermazione di un’Economia Verde è il massiccio uso delle cosiddette “Energie Rinnovabili”.
L’energia che comunemente utilizziamo viene ricavata da combustibili fossili, petrolio, carbone e oli combustibili, destinati nel tempo ad esaurirsi e che purtroppo hanno un impatto ambientale fortemente negativo. Con la Green Economy si vuole sostituire questo tipo di energia con le cosiddette “energie rinnovabili”, ovvero l’energia prodotta da fonti per loro stessa natura rinnovabili e quindi sempre presente, come il sole, il vento, l’acqua, le correnti marine, onde del mare, colture agricole ecc.
Riuscire a produrre energia da queste fonti significa ridurre al minimo la produzione di anidride carbonica combattendo l’effetto serra. Naturalmente affinché si possa parlare di green economy occorrono sistemi di produzione di energie rinnovabili con ridotto impatto ambientale, come per esempio i sistemi solari fotovoltaici, il solare termico in case passive o l’eolico a basso impatto.
Strettamente legato allo sviluppo e all’uso massiccio delle energie rinnovabili è il buon uso che si riesce a fare si esse, cioè la capacità di sviluppare un processo virtuoso che si basi sull’Efficienza stesse delle Risorse.
Una di queste è l’affermarsi della “Circular Economy”, un’economia basata su tre elementi fondamentali: l’efficienza delle risorse, la prevenzione e la produzione dei rifiuti.
Scopo della “Circular Economy” è quello di promuovendo il riciclo e riducendo al minimo la produzione di rifiuti. Obiettivo primario è sostituire all’attuale sistema economico che si basa sull’uso smisurato delle risorse naturali per la produzione di beni di consumo (ingente produzione di rifiuti) con un’economia che riduce l’uso delle risorse naturali e che mira a reintrodurre nel ciclo produttivo quelle stesse risorse biologiche in modo far durare il più a lungo possibile quelle non biologiche. Puntando sulle energie rinnovabili, sul riciclo e il riutilizzo dei materiali, nonché sul risparmio e l’uso efficiente di risorse ed energia, la “Green Economy” riesce anche a garantire benessere, inclusione sociale ed una equa ripartizione dei beni, tutelando al contempo l’ecosistema.
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SUBSCRIPTION ECONOMY
di Ignazio Catauro
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Oggi non si compra più, ci si abbona! Quasi nessuno compra più un film, ma lo si guarda su Netflix. Quasi nessuno acquista un cd del proprio cantante preferito, ma lo ascolta su Spotify. Il futuro è in abbonamento. Già oggi si stima che l’85% degli europei usufruisca di un servizio in abbonamento.
La Subscription Economy corrisponde ad un modello economico che si basa sulla fruizione di servizi e prodotti attraverso la modalità dell’abbonamento periodico.
Il fenomeno parte dagli USA, ma da anni stiamo assistendo a una crescita di interesse esponenziale anche in Italia. I prodotti pionieri sono stati i software: non ci interessa più avere un programma per sempre installato nel nostro computer, piuttosto preferiamo sottoscrivere un abbonamento che ci permetta di utilizzarlo online, per il tempo che noi decidiamo. Esempi di servizi che permettono di avere accesso a film e serie TV, come Netflix o Sky On Demand, o Spotify con la musica, ne sono la modalità più comune e conosciuta. In questo modo si ha la possibilità di scegliere cosa vedere e quando, e questa libertà piace agli utenti, che sempre più spesso preferiscono gestire in autonomia come godere dei servizi dedicati.
Inoltre la personalizzazione dei servizi solleva il cliente dall’onere di fare una cernita tra ciò che soddisfa i suoi gusti e le sue esigenze e ciò che non lo fa: scorre un elenco di risultati scelti per lui in base a un profilo che gli viene cucito addosso.
Nell’ultimo decennio abbiamo assistito a un costante aumento del numero di settori produttivi riconducibili alla Subscription Economy, il modello di business è abbastanza facile da capire: invece di creare un prodotto di successo che sarà “Venduto una volta”, si offre un valore costante sottoforma di nuovi contenuti, maggiore personalizzazione e accesso agli aggiornamenti per i quali i clienti pagano tramite un abbonamento mensile o annuale. In questo modo le aziende riescono a costruire relazioni più solide con i loro clienti incrementando esponenzialmente le loro performance economiche.
Per un cliente accettare di abbonarsi ad un qualunque servizio offerto significa che non si è proprietari del prodotto, ma semplice utilizzatore. Sondaggi recenti suggeriscono che il 68% degli adulti non apprezza più la proprietà di un qualsiasi bene-servizio e non ritiene necessariamente tale proprietà anche perché cosa conta è l’esperienza che scaturisce dall’uso di un sevizio e non l’appartenenza di esso.
Esperienza, questa è la parola magica che sottende alla Subscription Economy . Per usare un semplice esempio: alla maggior parte di noi può non interessa particolarmente possedere un DVD, ma apprezziamo l’esperienza di guardando il film. Non è assolutamente necessario acquistare un DVD se si può semplicemente guardarlo su un servizio di streaming video. Inoltre, il 70% degli adulti afferma che la manutenzione e i costi associati alla proprietà di beni materiali è oneroso e che preferirebbero
abbonati a un servizio che si occupa di questi “oggetti”.
Il dipartimento di economia di ING stima che gli europei spendono in media 130 EUR al mese in abbonamenti vari riguardanti l’uso di servizi e/o prodotti. Pertanto, per complessivi circa 350 miliardi di euro. Si stima che i ricavi delle società che operano con un modello di abbonamento siano cresciuti a
un tasso annuale composto (CAGR) del 18,1% negli ultimi 6 anni. Questo corrisponde a 5 volte più veloce
rispetto alle vendite al dettaglio sia in Europa che negli Stati Uniti (3,1% CAGR nello stesso periodo. Ciò fa prevedere che per l’Economia delle Sottoscrizioni o degli Abbonamenti si preveda un incremento ancora maggiore per i prossimi anni.
Naturalmente il trend non riguarda solamente l’intrattenimento: sottoscriviamo abbonamenti per il car sharing ad esempio, o per i servizi di ristorazione. E non riguarda neppure soltanto la generazione dei millennials, sebbene siano il pubblico più influente in termini di numeri.
Una ricerca che riguarda Francia, Spagna, Germania, Regno Unito, Francia, Benelux e Italia, condotta da SlimPay che è una “fintech” francese specializzata nei pagamenti ricorrenti tramite addebito diretto, ha messo in luce un numero importante che riguarda la percentuale di italiani che ha sottoscritto un abbonamento: sono il 74%, con 2,2 abbonamenti a testa. La media europea è ancora più interessante: 85% di utenti. Alla luce di quanto abbiamo appena visto appare chiaro che stanno cambiando anche le modalità e le opportunità di business per molti settori, e che i numeri sono troppo importanti per restare indifferenti.
Ovviamente, la subscription economy ha cominciato ad andare forte sul mercato dei software, grazie alle enormi innovazioni portate dal sistema dei cloud. Il software è sempre meno qualcosa che si installa sul proprio computer e sempre più un servizio che viene erogato via Web. I privati o le aziende pagano una tariffa mensile o annuale, e il fornitore offre il servizio (e tutti i suoi aggiornamenti) in rete.
L’interesse maggiore che spinge l’utente ad “abbonarsi” è principalmente la possibilità di gestire in autonomia le modalità e le tempistiche di fruizione dei servizi. Ma non solo, a questa motivazione si aggiunge una vera spinta che potremmo definire “emotiva”, la cosiddetta “membership”, ovvero “quel modello che si basa su un sito di adesione dove le persone pagano in modo ricorrente e periodico per seguirne i contenuti, diventa per l’utente l’opportunità di sentirsi parte integrante dell’azienda”.
Altra leva particolarmente rilevante è data dalle modalità di offerta dei contenuti: “essi vengono sempre più spesso presentati in maniera personalizzata, ovvero in base alle preferenze dell’utente”. Questo automatismo piace a chi sceglie di accendere l’abbonamento, viene percepito come un servizio cucito su misura addosso a lui. In futuro la sfida più accattivante per le aziende che si occupano di produrre contenuti e servizi adeguati, è sfruttare la subscription economy per riuscire a vendere esperienze dove i beni vengono presentati in maniera personalizzata e personalizzabile.
Un altro elemento sostanziale che sottende a questa tipologia economica è dato dal meccanismo della fidelizzazione del cliente, che ne aumenta la soddisfazione e ne migliora l’esperienza, il ché molto spesso dà luogo a un legame duraturo, solido e sentito tra azienda e cliente.
Stessa cosa se vendi dei corsi: un abbonamento che offra periodicamente chicche, informazioni esclusive e aggiornate, news, piuttosto di un unico insegnamento una tantum, farà di certo più gola ai tuoi clienti.
L’innovazione, ovviamente, è un grande motore di crescita per l’economia degli “abbonamenti”. Non c’è dubbio che l’implementazione di tali servizi è stata facilitata dalla diffusione della digitalizzazione diffusa in tutti i contesti della società contemporanea.
Un effetto visibile, sotto gli occhi di tutti, è la sostituzione quasi inevitabile della ‘ownership’ da parte della ‘membership’, ossia l’accesso temporaneo a un bene o servizio. Dato questo orizzonte, le aziende orientate alla “membership economy” avranno un ruolo sempre più centrale. La rivoluzione della “membership economy” è un fenomeno piuttosto recente, anche se affonda le sue radici in tanti cambiamenti avvenuti nell’ultimo decennio. Non a caso, il primo a predire questo “shift” è stato Jeremy Rifkin in un saggio visionario del 2001 intitolato “The Age of Access”. C’è voluto più del previsto per realizzare quanto ipotizzato da Rifkin ma oggi i business più intelligenti e proattivi hanno già intrapreso la strada dell’evoluzione.
Citando William Gibson, “il futuro è già qui, solo che non è distribuito in maniera uniforme”. È stata necessaria una decade perché connessioni digitali, smartphone e cloud economico riuscissero a spianare la strada al modello più evoluto di “membership economy”. La velocità con cui le aziende riusciranno a compiere questo passaggio stabilirà la rilevanza delle stesse nella mente dei clienti. Clienti che, da parte loro, hanno già ben compreso la differenza tra il pensare in termini di proprietà top-down e il pensare (e agire) in condivisione, trasparenza e apertura.
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CIRCULAR ECONOMY
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Un’economia circolare è un sistema economico di “circuiti chiusi” in cui materie prime, componenti e prodotti perdono il loro valore il meno possibile, vengono utilizzate fonti di energia rinnovabile e il pensiero dei sistemi è al centro. Oltre 100 diverse definizioni di economia circolare sono utilizzate nella letteratura scientifica. Tante sono le definizioni in uso, perché il concetto viene applicato da gruppi diversificati di ricercatori e professionisti. Per esempio, un filosofo della scienza sottolineerà un aspetto diverso del concetto rispetto a un analista finanziario.
Le definizioni spesso si concentrano sull’uso di materie prime o sul cambiamento del sistema. Le definizioni che si concentrano sull’uso delle risorse seguono spesso l’approccio 3-R:
- Ridurre (utilizzo minimo di materie prime)
- Riutilizzo (massimo riutilizzo di prodotti e componenti)
- Riciclare (riutilizzo di alta qualità delle materie prime)
La mobilità può essere un buon esempio. La condivisione di auto significa che meno persone devono acquistare le proprie auto. Ciò riduce l’uso di materie prime (ridurre). Se il motore di un’auto è rotto, può essere riparato o il telaio e l’interno dell’auto possono essere utilizzati per realizzare o rinnovare un’altra auto (riutilizzo). Quando queste parti non possono più essere riutilizzate, il metallo, il tessuto e la plastica delle parti possono essere fusi in modo da poterne fare una nuova auto (riciclaggio).
Ma concretamente qual è la differenza tra un’economia circolare e un’economia lineare? Le definizioni che si concentrano sul cambiamento del sistema spesso enfatizzano tre elementi:
- Cicli chiusi
- Energie rinnovabile
- Sistemi di pensiero
I “Cicli chiusi”: in un’economia circolare, i cicli dei materiali sono chiusi seguendo l’esempio di un ecosistema. Non esistono rifiuti, poiché ogni flusso residuo può essere utilizzato per creare un nuovo prodotto. Le sostanze tossiche vengono eliminate e i residui a sua volta vengono separati in un ciclo biologico e in un ciclo tecnico. I produttori riprendono i loro prodotti dopo l’uso e li riparano per una nuova vita utile. In questo sistema, quindi, non è solo importante che i materiali vengano riciclati correttamente, ma anche che prodotti, componenti e materie prime rimangano di alta qualità in questi cicli.
Le “Energie rinnovabili”: proprio come le materie prime e i prodotti, anche l’energia dura il più a lungo possibile in un’economia circolare. Il sistema economico circolare è alimentato da fonti energetiche rinnovabili. Poiché non è possibile riciclare energia, non si fa menzione dei cicli energetici, ma di “flussi di energia a cascata”. Un esempio di ciò è la coproduzione di calore ed energia.
I “Sistemi di pensiero”: l’economia circolare non richiede solo cicli di materiali chiusi ed energia rinnovabile, ma anche sistemi di pensiero. Ogni attore nell’economia (impresa, persona, organismo) è collegato ad altri attori. Insieme formano una rete in cui le azioni di un giocatore influenzano gli altri giocatori.
A livello internazionale molti studi dimostrano i benefici nell’attuare politiche circolari. Ad esempio un documento prodotto dalla Ellen McArthur Foundation (centro di ricerca sull’economia circolare) rivela che, in Europa, l’economia circolare può creare nuovi posti di lavoro e incrementare del 3% la produttività annua delle risorse, può generare un beneficio economico da 1.800 miliardi di euro, può dare una spinta al di circa 7 punti percentuali addizionali entro il 2030. Inoltre l’Unione Europea ha stimato che l’uso efficiente delle risorse naturali può portare a 630 miliardi l’anno di risparmio per l’industria europea e un aumento di 580.000 posti di lavoro. Anche le Nazioni unite ribadiscono come questo modello di sviluppo del genere umano possa essere proficuo portando al taglio degli sprechi di risorse e quindi come la costituzione di un nuovo paradigma industriale eco-innovativo possa portare ad un incremento di competitività.
Inoltre l’approvvigionamento delle materie prime pesa per il 40% sui costi e come un approccio economico di tipo circolare possa abbattere questa voce di conto economico d’impresa in maniera significativa.
Le “buone pratiche” vengono suddivise per area di intervento lungo il ciclo di vita del prodotto.
Le fasi così determinate sono:
- Materia prima (modificata e pensata per poter rientrare nel ciclo economico a fine vita del prodotto).
- Produzione (Ecodesign, innovazione di processo, simbiosi e produzione in moduli).
- Consumo.
- Gestione dei rifiuti: da scarto/rifiuto a materia seconda.
Gli obiettivi che l’economia circolare si pone sono:
- Limitare il processo di conferimento in discarica dei rifiuti e di incenerimento;
- Salvaguardia della componente suolo, abbattimento del prelievo di materiali (ad esempio cave), minore superficie di suolo occupata e contaminata da discariche;
- Evidenza e informazione di processi circolari industriali ecologicamente ed economicamente efficaci, la dimostrazione empirica di risparmi economici per le imprese è fattore chiave per eco-innovare la struttura industriale esistente in un’ottica circolare;
- Salvaguardia delle funzioni ecosistemiche nel lungo periodo;
- Incrementare la competitività delle imprese e dell’economia nazionale in generale.
L’Economia circolare mantiene prodotti, materiali o componenti in uso al massimo del loro valore in ogni momento, in definitiva separando crescita economica e sviluppo. Lo fa distinguendo due diversi cicli:
- Nei cicli tecnici, prodotti, componenti e materiali sono mantenuti in circolazione nell’economia il più a lungo possibile.
- Nei cicli biologici, la strategia è reintrodurre le sostanze nutritive nella biosfera, e così facendo, ricostruire capitale naturale.
I cicli tecnici riguardano di solito i materiali non biodegradabili, come i metalli. I cicli tecnici più efficaci sono quelli di manutenzione e riutilizzo dei prodotti. In questo modo si mantiene il valore del prodotto e i tempi di utilizzo si allungano. Anche quando l’utilizzatore non ha più bisogno del prodotto, questo può essere comunque usato da altri, rivendendolo o ridistribuendolo in altri mercati. Quando il prodotto non può essere più utilizzato così com’è, gran parte del suo valore può essere mantenuto rimettendolo a nuovo o rigenerandolo. Una volta riciclati, il valore del prodotto in sé è perso, ma il valore del materiale rimane.
Materiali biodegradabili, come cibo o prodotti legnosi, possono essere immessi in cicli biologici. Questi materiali sono rinnovabili per natura, ma un ulteriore valore può essere creato a cascata, per usi diversi in diversi flussi di valore. In una bioraffineria, i processi di conversione possono produrre sostanze e combustibili di grande valore. Materiale organico che non può essere utilizzato, può essere compostato o “digerito anaerobicamente”, per trarne importanti elementi nutritivi, tra i quali l’azoto, il fosforo, il potassio e i micronutrienti, in questo modo si permette di valorizzare il massimo delle risorse che abbiamo, mantenendone alta l’utilità e il valore.
Per dirla semplicemente, in un’economia lineare entrano le materie prime che trasformiamo in un prodotto che poi viene gettato via dopo l’uso. In un’economia circolare, al contrario, chiudiamo i cicli di tutte queste materie prime. La chiusura di questi cicli richiede molto più che un semplice riciclaggio. Cambia il modo in cui il valore viene creato e preservato: cambia il modo di produrre, vengono utilizzati processi più sostenibili e si affermano diversi modelli di business.
Il sistema circolare e il sistema lineare differiscono l’uno dall’altro nel modo in cui il valore viene creato o mantenuto. Un’economia lineare segue tradizionalmente il piano passo-passo “take-make-dispose”. Ciò significa che le materie prime vengono raccolte, quindi trasformate in prodotti che vengono utilizzati fino a quando non vengono infine scartati come rifiuti. Il valore viene creato in questo sistema economico producendo e vendendo quanti più prodotti possibile.
Un’economia circolare segue l’approccio 3R: ridurre, riutilizzare e riciclare. L’uso delle risorse è ridotto al minimo (riduzione). Il riutilizzo di prodotti e parti è massimizzato (riutilizzo). E, ultimo ma non meno importante, le materie prime vengono riutilizzate (riciclate) secondo standard elevati. In questo sistema, il valore viene creato concentrandosi sulla conservazione del valore del prodotto.
La prospettiva sulla sostenibilità è diversa tra un’economia circolare e un’economia lineare. Quando si lavora sulla sostenibilità all’interno di un’economia lineare, l’attenzione è rivolta all’eco-efficienza. Questo per minimizzare l’impatto ecologico per lo stesso risultato. Ciò prolungherà il periodo in cui il sistema diventa sovraccarico. All’interno di un’economia circolare, si cerca invece la sostenibilità per aumentare l’eco-efficacia del sistema. Ciò significa che non solo l’impatto ecologico è ridotto al minimo, ma che l’impatto ecologico, economico e sociale è persino positivo.
Questa differenza può essere illustrata con la produzione di carne bovina. L’allevamento di mucche per la carne bovina provoca emissioni di gas metano, un forte gas serra. In un’economia lineare, la produzione di carne bovina è resa più sostenibile cambiando il modo in cui le mucche vengono alimentate, in modo che emettano meno gas metano per la stessa quantità di carne. Questo rende la produzione più eco-efficiente. In un’economia circolare, la produzione è resa più sostenibile non producendo carne bovina dalle mucche, ma imitandola come sostituto della carne. Per il sostituto della carne bovina vengono quindi coltivate piante che contribuiscono alla biodiversità, all’occupazione e alla gestione del paesaggio. In questo modo, aumenta l’impatto ecologico, economico e sociale della stessa produzione di “carne”.
Al fine di raggiungere l’eco-efficacia, i flussi residui devono essere riutilizzati per una funzione che è la stessa (riciclaggio funzionale) o persino superiore (riciclo) rispetto alla funzione originale del materiale. Di conseguenza, il valore viene completamente mantenuto o addirittura aumentato.
Ad esempio: il calcestruzzo viene macinato in granuli che vengono utilizzati per produrre nuovamente lo stesso muro o una parete più forte. Questo è diverso in un’economia lineare. Un sistema eco-efficiente funziona in genere sul downcycling: un (parte di un) prodotto viene riutilizzato per un’applicazione di bassa qualità che riduce il valore del materiale e rende difficile riutilizzare nuovamente il flusso del materiale. Ad esempio: i residui di calcestruzzo vengono trasformati in asfalto nel manto.
Un modello lineare tratta le materie prime in modo inefficiente, perché l’interesse primario non è sulla loro conservazione. In un’economia circolare, la conservazione coincide con l’obiettivo stesso. Ciò significa che anche altri modelli di business sono utilizzati in un’economia circolare con maggiore enfasi sui servizi piuttosto che sui prodotti.
Un esempio di un modello che facilita la transizione verso l’economia circolare è una combinazione prodotto-servizio, che viene visto come un modello per integrare prodotti e servizi. Un esempio diffuso di una combinazione prodotto-servizio è il sistema di stampa laser consumer, in cui le aziende ricevono una stampante gratuitamente e pagano per copia. Questo sistema si adatta bene all’economia circolare, perché l’azienda che produce la stampante ha interesse a garantire che la stampante duri a lungo, essendo in grado di ripararla e aggiornarla. Nel sistema di vendita lineare, al contrario, il produttore beneficia spesso se il prodotto si rompe rapidamente in modo da poter vendere un nuovo prodotto.