Networking di valore: la forza della “rete delle reti” in un’esperienza decennale
di Rosapia Farese, a nome dell’Associazione FareRete InnovAzione BeneComune
Quando si parla di “fare rete”, l’immagine che spesso balza alla mente è quella di persone che si incontrano per scambiare contatti, organizzare progetti sporadici e salutarsi alla fine di un evento. Eppure, chi vive da vicino una rete autentica e duratura sa che c’è molto di più: c’è un intreccio di fiducia, entusiasmo, sfide, reciproco sostegno e crescita condivisa. Per noi di FareRete InnovAzione BeneComune APS, questa consapevolezza nasce da un’esperienza che attraversa ormai un decennio di impegno e collaborazione sul territorio. In quest’articolo desidero raccontare com’è maturata la nostra idea di “rete di reti”, quali valori l’hanno sostenuta e quali orizzonti intravede per il futuro.
Fin dagli esordi, l’obiettivo non era limitarsi a unire forze per risolvere un problema contingente o per portare avanti un singolo progetto. Piuttosto, volevamo creare un ecosistema di relazioni in cui ogni soggetto – associazione, istituzione, azienda, cittadino – non fosse un semplice partner occasionale, ma un nodo stabile che potesse a sua volta mettere in circolo contatti, competenze e risorse. Questa prospettiva, a prima vista ambiziosa, ha rivelato tutta la sua forza soltanto col tempo: un anno dopo l’altro, la nostra rete si è ampliata, ramificata e rafforzata, trasformandosi in una trama viva di professionalità ed esperienze che, grazie a questo intreccio, danno vita a progetti più estesi di quanto ognuno riuscirebbe a realizzare in autonomia.
Uno degli aspetti più coinvolgenti di questa decennale esperienza di rete è stato accorgerci di come il tessuto connettivo che unisce i diversi attori acquisisca valore proprio in funzione della fiducia. All’inizio del percorso, molti si avvicinavano con curiosità, ma non senza un velo di scetticismo: era davvero possibile che realtà tanto diverse – chi si occupava di educazione, chi di servizi sanitari territoriali, chi di progettazione sociale, chi di formazione professionale – trovassero un linguaggio comune, un metodo di lavoro condiviso e obiettivi capaci di superare l’ambito strettamente settoriale? Oggi possiamo rispondere di sì, ma non è stato un processo lineare. La fiducia ha richiesto tempo per radicarsi e si è costruita attraverso piccole e grandi sfide affrontate insieme: successi condivisi, ma anche momenti di difficoltà e incomprensione, superati soltanto con la volontà di parlarsi, di mettersi nei panni dell’altro e di individuare soluzioni percorribili da tutti.
Questa dimensione fiduciaria si è saldata, negli anni, su un impegno costante per la trasparenza: momenti di incontro periodici, aggiornamenti regolari sugli obiettivi e sui risultati raggiunti, un’attenzione scrupolosa nel rendicontare tempi e risorse dedicate ai progetti condivisi. Avere una visione chiara delle finalità di un intervento, del modo in cui si prendono le decisioni e di come si ripartiscono le responsabilità ha garantito che ogni realtà coinvolta potesse sentirsi libera di esprimere le proprie idee, di appoggiare o dissentire rispetto a una proposta, senza timore di essere accantonata o fraintesa. In questo senso, la trasparenza diventa la premessa fondamentale per far circolare idee in modo fluido e, allo stesso tempo, per favorire l’ascolto reciproco.
Dietro questa esperienza decennale c’è anche una metodologia basata su un concetto fondamentale: co-progettazione. Molte volte, chi parla di “fare rete” pensa soprattutto a raggruppare soggetti in un tavolo di lavoro, dove a decidere è uno solo, o pochi, e tutti gli altri seguono passivamente. Il
nostro approccio è radicalmente diverso: ci siamo impegnati a creare spazi di co-progettazione reali, dove ogni partecipante – sia un ente locale, una piccola associazione di quartiere o un grande operatore del terzo settore – venga messo nelle condizioni di proporre, criticare, modificare l’impianto di un progetto, fin dalla fase ideativa. È nelle sessioni di co-progettazione, spesso durate intere giornate, che si è rivelata la forza di una rete capace di includere diversità di competenze e prospettive. Proprio da quegli incontri sono nati percorsi formativi inaspettati, servizi di prossimità per le fasce più fragili, esperimenti di partecipazione cittadina che hanno portato aria nuova anche nelle istituzioni più tradizionali.
Un’altra lezione appresa nel corso di questi dieci anni è l’importanza di avere leadership orizzontali, o meglio, di sviluppare un modus operandi in cui le figure di riferimento non siano semplici “capi”, ma facilitatori. Il ruolo di FareRete InnovAzione BeneComune, in questo, è stato spesso quello di “nodo facilitatore”: un soggetto capace di ascoltare le esigenze di diverse organizzazioni, metterle a confronto e offrire strumenti di sintesi. Più che comandare o imporre linee guida, abbiamo preferito coordinarci con figure competenti in animazione territoriale, gestione delle dinamiche di gruppo, problem solving collettivo. Questo stile di leadership ha permesso di accogliere la pluralità di visioni, trasformandola in valore aggiunto, senza frammentare l’azione comune in micro-iniziative scollegate.
Nel tracciare il bilancio di questa esperienza, è impossibile non sottolineare i risultati concreti. Molte realtà associative hanno allargato i propri orizzonti, incontrando potenziali partner con cui hanno sviluppato progetti di inclusione sociale, formazione o tutela della salute. Alcune piccole cooperative sociali hanno trovato, grazie alla rete, opportunità di sostegno finanziario o di formazione, imparando ad affrontare bandi e avvisi pubblici con una consapevolezza nuova. Anche le istituzioni locali, a volte scettiche all’inizio, hanno compreso che partecipare a una rete non significa perdere autonomia, bensì moltiplicare la capacità di incidere positivamente sul territorio. Il cambiamento più bello è avvenuto proprio nel rapporto con gli enti pubblici: non soltanto un canale di finanziamento o un soggetto da cui ottenere patrocini, ma partner in una missione condivisa, per costruire insieme servizi socio-sanitari e culturali più rispondenti alle esigenze dei cittadini.
Al centro di tutto, però, resta un elemento che non vorrei passasse in secondo piano: la dimensione umana. Al di là delle riunioni formali, degli incontri di co-progettazione, dei protocolli ufficiali, la rete ha preso vita nelle relazioni personali. Sostenere un’associazione in difficoltà, contattare un esperto che può dare consigli mirati, incoraggiare un team di giovani alla loro prima esperienza progettuale, ascoltare le storie di chi affronta ostacoli sul campo e insieme cercare soluzioni: sono queste le situazioni quotidiane in cui prende forma un senso di comunità profondo. Dieci anni di rete significano anche aver visto crescere nuove generazioni di operatori sociali, avviare percorsi di mentorship, far incontrare persone che magari non si sarebbero mai conosciute se non in questo ambito. È lì, in questa trama invisibile di aiuto reciproco, che la rete ha il suo cuore pulsante.
Guardando al futuro, ci sono ancora spazi di miglioramento. L’esperienza ci ha insegnato che, man mano che la rete si amplia, può emergere il rischio di dispersione o sovrapposizione di iniziative. Per gestire bene una trama così articolata, servono meccanismi di coordinamento che non siano percepiti come burocrazia aggiuntiva, ma come un aiuto per valorizzare le competenze e le risorse di ciascuno, evitando di disperdere energie. Anche la comunicazione può progredire ulteriormente:
pur essendo già molto attenti a condividere informazioni, ci rendiamo conto che, in un’epoca di accelerazione digitale, occorrono piattaforme interattive e un uso strategico dei social media per raggiungere una platea più ampia, comprendendo soprattutto i giovani che vivono un linguaggio differente.
Non manca, poi, la sfida di integrare sempre più la dimensione locale con quella nazionale, e perché no, con quella internazionale. In questi dieci anni abbiamo imparato come il radicamento sul territorio sia fondamentale: realizzare iniziative di prossimità nelle scuole, nei centri polifunzionali, nelle biblioteche di quartiere. Tuttavia, la consapevolezza globale dei problemi (dalla sanità alla sostenibilità ambientale) ci sprona a creare collegamenti con reti di altri Paesi. L’obiettivo è portare le buone pratiche del nostro territorio in circuiti più vasti e, nello stesso tempo, importare esperienze ispiratrici di innovazione sociale da altre culture. In questo senso, una “rete di reti” non si ferma ai confini geografici, ma si proietta in dimensioni transnazionali, accogliendo una pluralità di soluzioni e stimoli.
Volgendo lo sguardo a ciò che abbiamo costruito in dieci anni, possiamo affermare che la nostra esperienza di rete trascende il concetto di collaborazione temporanea. È diventata un modo di pensare, uno stile di lavoro, una forma di azione comunitaria. E non è neanche esagerato dire che abbia rafforzato il tessuto civile di tanti territori, avvicinando istituzioni, associazioni, imprese e singoli cittadini attorno a un’idea di Bene Comune. Perché, in fondo, lo scopo ultimo di fare rete non è chiudersi in un circolo di addetti ai lavori, bensì aprire la partecipazione a quante più persone possibile, lasciando emergere competenze, talento e passione. L’innovazione, a nostro avviso, non è soltanto tecnologica: è soprattutto la capacità di far nascere nuove sinergie nel sociale, nuove forme di cooperazione che restituiscano fiducia nelle potenzialità del gruppo umano.
In conclusione, il racconto di questi dieci anni di FareRete InnovAzione BeneComune APS rappresenta la storia di un cammino collettivo che, passo dopo passo, ha costruito un’articolata rete di relazioni, rendendo tangibile il motto “insieme si può” anche in situazioni apparentemente complesse. Il messaggio che vorrei trasmettere è un invito: provare a costruire (o a partecipare) a reti che non si esauriscano in un singolo evento, ma che perdurino, si consolidino e si evolvano con il contributo di tutti. Una rete aperta, dove le differenze non sono ostacoli da abbattere ma ricchezze da accogliere, e dove la fiducia, la trasparenza e la co-progettazione continuano a essere i capisaldi di un “fare rete” concreto e generativo.
Se qualcuno desidera unirsi a questo percorso, lo accoglieremo con lo stesso entusiasmo con cui dieci anni fa abbiamo iniziato a intrecciare i fili di questa straordinaria avventura. Perché, in definitiva, la rete non è un’entità astratta: la rete sono le persone, con la loro volontà di cambiare, di imparare e di costruire un futuro più giusto, sostenibile e solidale per tutti.
«Se si sogna da soli è solo un sogno, se si sogna insieme è la realtà che comincia.» (Proverbio africano)
E allora, iniziamo – o continuiamo – a sognare insieme, facendo rete, anzi “rete di reti”, per dare corpo a quei sogni e trasformarli in azioni concrete, a beneficio di tutti.
