Berlinguer – La grande ambizione
Cosa c’è più di Sinistra che vedere un film su Berlinguer al Nuovo Sacher? Forse l’unico modo per Nanni Moretti di sentire oggi ‘qualcosa di sinistra’… Eppure la visione sarebbe consigliata a chiunque, indipendentemente dal proprio credo e colore politico, perché racconta una figura umana che ha segnato la storia della nostra repubblica, e quindi di tutti noi.
Il film si concentra su un quinquennio , quello dal ‘73 al ‘78, partendo dalla caduta di Allende in Cile per mano del regime militare, fino ad arrivare alla morte di Aldo Moro. La narrazione si svolge in maniera lineare mostrando l’evoluzione della politica di Berlinguer nella sua grande ambizione di creare un’alternativa democratica nella politica italiana, per far progredire il paese nei diritti e nell’eguaglianza sociale in armonia con le forze popolari di ispirazione cattolica, attraverso il cosiddetto compromesso storico.
Sebbene quest’anno, nella ricorrenza dei quarant’anni dalla sua morte, non siano mancate occasioni di approfondimento della figura di Berlinguer, con la mostra a lui dedicata e la riproposizione del documentario di Veltroni, il film porta un valore aggiunto mostrando la sua figura da un punto di vista, quello umano e familiare, di fatto inedita.
Basandosi sulle testimonianze della famiglia stessa, ci ritroviamo immersi nella loro vita quotidiana, dove Enrico trovava ristoro negli affetti, metabolizzando e condividendo le gioie e le speranze della prima fase, nonché i dubbi e le tensioni della seconda. Ciò che ci rimane è l’immagine di Berlinguer che scrive un importante discorso con la figlia più piccola sulle gambe, che cerca di riappacificare piccole scaramucce, o che non ricorda in quale libro aveva nascosto una bancanota, prestandosi al giocoso scherno familiare e mostrando il lato umano e umile, se mai ce ne fosse bisogno, di “un grigio funzionario di partito” ritrovatosi quasi suo malgrado a capo del maggior partito politico italiano per consensi, trascinato dal coraggio e dalla forza dei propri ideali.
La famiglia e’ quindi il perno del racconto, in una ciclicità rassicurante che si ritrova nelle lettere alla moglie in occasione degli anniversari di matrimonio vissuti a distanza, con il rammarico dei momenti perduti a causa del suo impegno politico. La famiglia e’ il luogo affettivo dove risiede naturalmente l’amore di Berlinguer, lo stesso sentimento che rende inaccettabile l’esistenza di disuguaglianze e ingiustizie sociali: e non è questo forse il messaggio principale del Vangelo? Ama il prossimo tuo come te stesso… forse è proprio questo il punto di contatto tra comunismo e cristianesimo, ad abbattere le differenze nella ricerca del bene comune. Questa considerazione segna inoltre la distanza dal partito comunista Sovietico, nel riconoscimento, nel famoso strappo con Mosca, del bene primario della libertà di espressione di ciascun essere umano, nel rispetto del pluralismo democratico (e nell’implicito rifiuto del ricorso alla forza e alla prevaricazione).
Berlinguer aveva infatti capito che la realizzazione degli ideali comunisti nella società italiana dovesse avvenire in una maniera nuova, discostandosi dall’utopia dell’esperienza cilena, nonché dalla repressione del regime sovietico, e dimostrando in ogni passaggio il pragmatismo di chi ha ben chiaro l’obiettivo da perseguire. Un impegno emerso nelle battaglie referendarie, e riconosciuto nel voto della gran parte dei cittadini e delle cittadine italiane, andando ben oltre il proprio elettorato di base, e rendendo così ipotizzabile la realizzazione della sua grande ambizione. Il tutto prestando la sua caparbietà tipicamente sarda a favore della collettività, consapevole che il bene di una nazione sia ottenibile solo attraverso la pace e l’armonia tra le classi sociali e tra i popoli. Un amore che si declina quindi nei diversi livelli della dimensione umana, passando dalla sfera familiare a quella della comunità, alimentato dai valori di eguaglianza e umanità, in un’insospettabile declinazione, ci sia concesso l’azzardo, dei valori di Dio Patria e famiglia.
Si può dire che si sia arrivati a un tanto così da quel traguardo, un piccolo passo dal peso ahimè troppo grande e rivoluzionario, inaccettabile per chi non tollerava che si cambiasse il corso della storia. Ancora una volta sarà la violenza a opporsi al cambiamento pacifico e democratico, nella “notte buia dello stato italiano, quella del 9 maggio 1978, la notte di via Caetani, del corpo di Aldo Moro, l’alba dei funerali di uno stato” (laddove non troviamo parole migliori di quelle dei Cento Passi dei Modena City Ramblers).
Non è un caso quindi che la narrazione dei fatti storici si arresti qui, salvo poi chiudere il sipario sulla marea di persone che, pochi anni dopo, con un commosso abbraccio resero omaggio alla morte di quel grigio funzionario che aveva la grande ambizione di rendere il mondo un posto migliore. Tutto questo lasciandoci un grande rammarico per ciò che è stato e per ciò che sarebbe potuto essere, nonché per quello a cui siamo costretti ad assistere oggi, in uno spettacolo degradato della politica italiana e mondiale.
Il timore che la storia possa ripetere i propri errori, di vichiana memoria, si accompagna però alla consapevolezza che l’unica via possibile e’ di restare umani e saldi nei propri principi, ostinati come Enrico nel rifiuto della violenza e nel rispetto dell’essere umano.
Mario Saveri