Violenza e aggressività nei giovani
A cura della dott.ssa Rita Baggiossi del gruppo Psinsieme: dott. Fabio Battisti, dott.ssa Alessia Micoli, dott.ssa Cristina Pansera.
L’aumento della violenza e della aggressività giovanile, testimoniata anche dai recenti fatti di cronaca, dagli stupri di gruppo a Palermo e Caivano alla violenza scatenata da alcuni ragazzi di Fiuggi contro una capretta indifesa, fino all’omicidio del musicista 24enne Giovanbattista Cutolo a Napoli, implica un’analisi all’interno della società tutta per comprenderne le cause più profonde. Violenza così eccessiva e importante che non può essere ritenuta solo una manifestazione normale dell’adolescenza, della crescita, tantopiù che essa compare in età sempre più precoce ed i social, spesso, ne amplificano la diffusione e fanno da palcoscenico. Aggressività non solo psicologica ma, soprattutto, fisica. Il branco, inoltre, rappresenta un contesto nel quale si somma la rabbia degli adolescenti, ragazzi ma anche ragazze, che diventano particolarmente aggressivi un gruppo. Ovviamente vivendo nella Rete, non è raro che questi episodi di violenza vengano intenzionalmente condivisi tra giovani. Gli adolescenti violenti utilizzano l’aggressività come una forma di comunicazione. Spesso dietro quegli atti si nascondono sentimenti associati alla perdita e al bisogno di sentirsi protetti,in una fase evolutiva così difficile come quella dell’adolescenza, dove non si è più bambini ma neanche adulti. Benché possano sembrare poco prevedibili fenomeni di violenza agiti da adolescenti appartenenti a famiglie apparentemente normali, di frequente un malfunzionamento, seppur nascosto, è presente all’interno della famiglia stessa. Nelle cosiddette famiglie “adultescenti”, secondo il sintetico termine recentemente inserito nell’Oxford dictionary, ad esempio, composte da genitori ancora tutti centrati e presi da se stessi, si riscontra una dimensione educativa deficitaria di supervisione genitoriale, in cui viene meno la capacità di controllo sui comportamenti dei figli. Criticità più di tipo omissivo che commissivo, per negligenza. A volte in famiglie “Babbo Natale”, in cui l’avere viene scambiato per l’essere, poco accorte nell’intercettare i bisogni più profondi dei figli che rimangono così inevasi, il gesto criminale viene giustificato come un atto di leggerezza, mentre esso è espressione della latitanza di una dimensione etica e del fallimento dell’apprendimento di valori universali di reciprocità, sconosciuti a chi è focalizzato sul proprio egocentrismo personale e di gruppo. Quindi, se la società, gli adulti, a volte la famiglia e la scuola danno di sé un’immagine aggressiva o di eccessiva tolleranza e indifferenza di fronte all’aggressività, essi non potranno non trasmettere questo contenuto e questo modello negativo ai giovani, aumentando le loro difficoltà di adattamento e quelle chi deve educarli alle regole sociali e all’autocontrollo. E’ plausibile individuare l’origine dei problemi dei giovani di oggi (e dei loro genitori) anche in un’azione educativa troppo blanda, permissiva, che ha prodotto effetti negativi sui ragazzi e sulla loro capacità di sentirsi responsabili delle loro azioni.