Fame emotiva


a cura della Dott.ssa Emanuela Mastropietro componente del gruppo Psinsieme :dott Fabio Battisti, dott.ssa Rita Baggiossi, dott.ssa Alessia Micoli, dott.ssa Cristina Pansera

Il bisogno di mangiare non è solo di tipo fisiologico ma in molti casi può essere la spia di una necessità di tipo psicologico. Quanti di noi nei momenti densi di tensione o carichi di turbamenti si sfogano mangiando quello che potremmo definire cibo “spazzatura” che sia dolce o salato o grasso? Dobbiamo imparare a riconoscere la fame emotiva insaziabile da quella fisica che una volta soddisfatta ci lascia appagati. In effetti la fame emotiva è dettata da una necessità prettamente psicologica: il nostro desiderio di sentirci consolati, confortati nei momenti di difficoltà. Spesso il cibo viene utilizzato come mezzo per sopperire a stati emotivi quali rabbia, tristezza, solitudine, senso di vuoto, noia, ansia, emozioni di tipo negativo che ci pervadono… È in siffatte condizioni che i cibi risultano più appetibili del solito, non importa se sono ad alto contenuto calorico, pieni di zuccheri o grassi, l’importante è che aiutino a non sentire queste emozioni dotate di una forte carica e intensità. Ciò non succede invece con la fame fisiologica in quanto essa è caratterizzata da un circuito fame-stimolo, assunzione del cibo e sazietà. La fame fisica non esplode improvvisamente ma gradualmente, può attendere e si interrompe quando avvertiamo la sensazione di sazietà e pienezza, non ci fa sentire in colpa perché é una necessità naturale, di vita reale. La fase emotiva è diversa si accende, come un desiderio inconscio di tipo psichico: non si spegne con la sensazione di stomaco pieno, predilige certi cibi e innesca sensazioni quali la colpa, la vergogna, l’ impotenza. Pensiamo per es. alla noia: il cibo viene utilizzato come tentativo di evasione e distrazione dai sentimenti di insoddisfazione. Non solo, a volte la nostra modalità di assunzione del cibo in situazioni di stress, ci rimanda all’epoca dell’infanzia, ai ricordi legati alla nostra famiglia di origine in un’epoca lontana in cui eravamo piccoli e ci sentivamo coccolati per es. quando i nostri genitori ci riempivano di caramelle, dolciumi, o gelati o cioccolatini o patatine con dentro la sorpresa.
Anche una cena fuori con gli amici o i parenti può essere utile in quanto mezzo per alleviare un disagio: mangiando in compagnia è difficile sentirsi in colpa, il cibo assume una valenza di condivisione sociale e quindi dal punto di vista cognitivo ci sentiamo scusati, abbiamo un impatto diverso dovuto ad un’influenza di tipo
culturale. Se è vero che non tutti reagiamo di
fronte alle difficoltà immergendoci nel cibo
perché in alcune persone può prevalere
l’astinenza, molte altre di contro reagiscono in modo quasi compulsivo, in quanto il cibo agisce come zona di comfort ( comfort food), per lenire i nostri vissuti emotivi di sconforto, disagio.
Tuttavia si insedia un circolo vizioso in quanto più ci sentiamo giù e più abbiamo bisogno di conforto, più si innesca il desiderio di mangiare seguito da temporanea sensazione di benessere
che induce senso di colpa e di nuovo stato di
tensione negativa. Cosa fare per interrompere
questo circuito? Occorre innanzitutto imparare a distinguere tra fame fisica e psicologica, le nostre emozioni negative e la loro origine, imparando ad accettare anche i sentimenti negativi. In quel momento dovremmo fermarci e pensare a come ci
sentiamo mentre stiamo mangiando, a cosa ci sta succedendo. Anche se non riusciamo subito a frenarci e mangiamo, comunque la prossima volta avremo già una risposta su cosa ci induce a questa fame. Possiamo anche tenere in diario in cui associare le nostre emozioni al tipo di cibo che
mangiamo, le sensazioni fisiche che avvertiamo, le circostanze in cui assumiamo cibo. Se non riusciamo da soli, può essere utile rivolgersi ad un professionista per un percorso psicoterapeuti.
Spesso siamo tentati di seguire delle diete ferree con il risultato di avere risvolti negativi se non peggiori in quanto il circuito di cui ho parlato sopra si innesca maggiormente a causa dello stress che ci imponiamo destinandoci al fallimento. Per cui è meglio un aiuto esterno piuttosto che il famoso “fai da te.

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