LOIODICE (UNAPOL): «INTERVENIRE CON DECISIONE, OLIVICOLTURA SETTORE STRATEGICO PER L’ITALIA»
Intervista al presidente dell’Unione nazionale dei produttori olivicoli
Roberto Pagano
Tommaso Loiodice è dal 2013 presidente di Unapol, l’Unione nazionale dei produttori olivicoli, sorta nel 1981 per promuovere il miglioramento e la disciplina della produzione olearia ed olivicola italiane. Con le sue 25 associazioni che raggruppano oltre 120mila produttori in 12 regioni del nostro Paese, Unapol si batte per la centralità del settore, in stretto legame con Acli Terra. Un’area fondamentale anche per i cittadini-consumatori e tutta l’economia.
Tommaso Loiodice, Unapol, Acli Terra, il Caa Acli hanno una comune matrice, la visione della dottrina sociale della Chiesa. Quanto è attuale la missione politica di quest’area con la sua rappresentanza in agricoltura?
Oggi è molto più attuale di quanto si possa immaginare, perché oggi il tema sociale sul quale ci si confronta quotidianamente è il tema della sostenibilità, che non può prescindere dal Creato. Non si può prescindere dalla terra, dal cibo e, soprattutto, dal rispetto degli uomini, delle persone, dell’altro. Ed è così anche in agricoltura: il rispetto dell’altro, della pace è una questione che, anzi, in questi giorni è all’attenzione di tutti e dello scenario mondiale.
Il tema dell’accoglienza e del rispetto dell’ambiente è qualcosa di innato nel mondo rurale. Baden Powell ci diceva di lasciare il mondo migliore di come lo si è trovato. Gli agricoltori vivono quotidianamente lo scoutismo. E quindi le Acli, il Caa Acli, Unapol, questa parte di società che vive ispirata dalla Dottrina sociale della Chiesa, non può che valutare questo messaggio attualissimo, essendo pienamente immersa e attenta a tutto il mondo circostante.
Quindi una missione ancor più resa importante dalla crisi sociale ed economica, ulteriormente aggravata con la pandemia del Covid-19, proprio mentre ci si stava riprendendo dalla lunga temperie internazionale del 2008-2009. E che ha colpito duramente anche il settore agricolo, dell’allevamento e della marineria.
Sì, assolutamente. E’ stata colpita moltissimo l’economia e quel che governa e che regge il sistema: in questi giorni essere agricoltori e poter praticare l’attività agricola richiede dei sacrifici enormi. Ad esempio, il costo del carburante agricolo è divenuto insostenibile. In questi giorni, ogni mattina, noi agricoltori – e sottolineo noi: anche io sono un olivicoltore ed ho una azienda agricola – siamo in condizione difficilissima.
Quando ci incontriamo con gli operai alle 5 del mattino ci chiediamo: “Ma davvero dobbiamo mettere in moto i trattori?” E parlo sia come operatore e sia come presidente di una cooperativa di conduzione dei terreni.
State comunque resistendo alle avversità, che fanno parte da sempre della vita dell’agricoltore.
E’ da dire che le comunità agricole sono quelle che hanno dimostrato e continuano a dimostrare di essere abbastanza autosufficienti e capaci di riuscire a superare i momenti di crisi profonda, perché hanno innato il senso del sacrificio, dell’abnegazione e dell’attesa.
Io definisco l’agricoltura un’industria a cielo aperto: noi siamo sotto il cielo e con la neve o la grandine va a monte tutto il prodotto. L’agricoltore attende un anno per poter raccogliere i propri frutti. Ed a volte è costretto a non raccoglierli affatto. Pensiamo alla gelata del 2008 che colpì tutto il Sud Italia.
Però l’agricoltore è una persona che non si arrende, sempre capace di fare economia, di accontentarsi e non eccedere. Il problema è che non si deve esagerare. Alla fine le aziende agricole sono imprese a tutti gli effetti e vanno salvaguardate: devono chiudere i conti con un fatturato in positivo.
Uno dei problemi più spaventosi per dimensione è la Xylella. Lei opera in una regione, la Puglia, dove il fenomeno è ed è stato gravissimo. Come ha vissuto la vicenda e quali gli interventi da parte delle istituzioni nazionali e locali?
Si tratta di una vicenda che ho veramente somatizzato, e sin dal primo momento. Sono stato uno dei primi a lanciare l’allarme perché ancor oggi il problema della Xylella è vissuto, almeno a livello nazionale, come un problema del solo Salento, ma che oggi è diventato un problema di tutta la Puglia. Inizialmente, infatti, tutto era localizzato solo nella provincia di Lecce.
Io già otto anni fa, a Jesi in un convegno di olivicoltura, ebbi a dire che la questione della Xylella non poteva essere un problema soltanto locale, ma nazionale ed europeo. La coltura dell’olivo è una coltura mediterranea, ma se la malattia supera i confini provinciali – come sta accadendo perché ha già invaso la provincia di Brindisi ed è alle porte della provincia di Bari -, sarebbe stato un dramma per tutti.
Se non si blocca, la Xylella diventerà quella che io chiamo la “pandemia dell’olivicoltura”, in questo caso nata in Puglia. Ma ci sono delle responsabilità politiche, perché inizialmente è stata sottovalutata. Ci sono stati santoni ed anche politici che si sono incatenati agli alberi. Io ho presentato una denuncia alla Procura di Roma facendo riferimento a questo. Mi auguro oggi che si vari una commissione d’inchiesta perché ci sono responsabilità anche, ma non solo, di natura politica. Non avere sostenuto la ricerca, come si sarebbe dovuto fare in tempi non sospetti, ha fatto registrare un ritardo della comunità scientifica. E ancor oggi non riesce a dare una risposta su come bloccare questa pandemia degli olivi.
Il dramma è ancora in atto, ma devo riconoscere che, fortunatamente negli ultimi anni, l’assessore all’Agricoltura della Regione Puglia, Donato Pentassuglia, sta intervenendo con polso e come si sarebbe dovuto fare già all’inizio, sul nascere dell’epidemia. Allora si ricorreva alla Procura, non si potevano estirpare gli alberi, eccetera. I commissari straordinari servono a questo e c’è bisogno di gestire questa pandemia agricola in modo straordinario, così come è accaduto con il Covid-19.
Invece l’agricoltura è sempre stata abbandonata e lasciata a sé stessa: una vera Cenerentola della società e dell’economia italiana.
Nonostante la situazione e il momento critico, ci sono nuove generazioni e anche giovani donne che si affacciano al mondo dell’agricoltura, anche per trovare nuovi sbocchi lavorativi. Nascono aziende tradizionali, ma anche imprese sociali o cooperative agricole, talora in combine con agriturismi. Come valuta questo fenomeno, ha notato questo nuovo interesse?
Sì, lo registro e lo valuto positivamente. In effetti, c’è questo ritorno all’agricoltura: i giovani scoprono un nuovo modo di fare agricoltura.
Esempi come quelli che lei ha fatto mostrano che non è più il tempo di fare attività rurale come quella dei nostri nonni o genitori. Oggi l’agricoltura è anche agriturismo, turismo del vino o turismo dell’olio, il mettere in piedi famiglie e imprese sociali. L’agricoltura oggi assume un ruolo sempre più centrale per la tenuta della società e questo i giovani lo colgono come un’opportunità di crescita personale e un sentirsi uomini liberi al servizio della società.
L’agricoltura dà questo piacere che è quasi un sentimento: quando la domenica riesco a abbandonare le carte e la scrivania e tornare all’aperto, a contatto con la natura, sento questo senso di libertà e, al contempo, di responsabilità nei confronti della società che mi fa sentire una persona importante, seppure nel mio piccolo ruolo.
I giovani iniziano a vivere questo sentimento, oltre a comprendere le possibilità di natura economica che vanno sfruttate: oggi come anche in tempo di guerrao pensando ai nostri avi, gli agricoltori non avranno mai il cibo che manca dalla tavola e sempre avranno qualcosa da poter mangiare.
Ne avete recentemente parlato, partecipando con un grande spazio espositivo e anche in alcuni dibattiti al Vinitaly 2022 a Verona?
Sì, il Vinitaly è stata una prima importante occasione per rivedersi con tantissime persone e realtà del mondo oleario, olivicolo e vinicolo. Soprattutto ritrovarsi insieme, con tanti visitatori, oltre che espositori e produttori. La nostra presenza è stata significativa, con un nostro spazio grande e suggestivo e come ospiti in dibattiti affollati. Abbiamo avuto molte visite istituzionali, dal presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, a due assessori all’Agricoltura, dal Molise, Nicola Cavaliere e Enrica Onorati dal Lazio. Come anche l’europarlamentare Simona Bonafè o il senatore Dario Stèfano o il sottosegretario all’Agricoltura, Francesco Battistoni che ha avuto un impegno altrove e ci ha inviato un cordiale saluto. Insomma, un grande evento internazionale per tutta la comunità dopo due anni di pandemia e di attività on line.
Tommaso Loiodice, ma dove è presente Unapol in Italia? Ci fa un quadro generale?
Unapol è presente nelle regioni del centro-sud Italia, a partire dal Lazio e in Abruzzo per scendere poi in Molise, Puglia, Calabria, Basilicata, Sicilia e Sardegna. Queste sono le nostre “roccaforti”. Ma oggi si inizia ad avere una presenza significativa anche nel Centro del Paese, in Umbria, Marche e Toscana. Ovviamente, nel nord Italia non essendovi un’olivicoltura molto sviluppata si registra una nostra minore presenza.
Già avevamo accennato al tema dei costi incredibili del gasolio e dei carburanti, in generale. Come se ne può uscire e quali le proposte da parte vostra? Chiedete dei sostegni particolari da Stato e Regioni? Assolutamente sì. Io sono pienamente d’accordo su quanto ha dichiarato il presidente di Acli Terra, Nicola Tavoletta, che anzi, sulle gravi conseguenze del caro-carburanti si riferiva anche ai pescatori. Va bene ridurre le accise sul carburante, specie su quello agricolo, come è stato fatto, ma deve essere una misura strutturale, da rendere stabile nel tempo.
Ma anzi, tornando al tema Xylella, il decreto varato recentemente dalla Regione Puglia, il Piano d’azione, prevede per le aziende agricole l’obbligo di arare e coltivare i terreni proprio al fine di contrastare l’avanzata della malattia delle piante. E l’aratura non può che essere fatta con le trattrici, con i mezzi meccanici. Quindi se si vuole effettivamente lottare contro la Xylella si devono mettere in moto le trattrici, ma questo non si può fare con questi costi attuali, del tutto insostenibili.
Ci fa degli esempi di quanto sono lievitati i costi del carburante per avviare un trattore e per l’attività ordinaria di un agricoltore di una giornata? Il prima e il dopo dell’esplosione del prezzo del gasolio? Considerando una trattrice che lavora con la forza motrice, quindi frese o trince e attività di sfalcio prima con 20-25 euro di carburante si riusciva a fare un’ora di lavoro, adesso i costi sono quasi il doppio, il 70-80 % in più. Dobbiamo considerare che un’ora di lavoro onnicomprensivo si poteva fare con 45-50 euro, mentre oggi occorrono tra i 65 e i 75 euro complessivi. Solo se si lavora senza la forza motrice, quindi soltanto trainando l’attrezzo con il molleggiato, certamente si riducono i costi. Se prima un ettaro si lavorava con circa 80 euro, adesso per coltivarlo si spendono 110-115 euro. E questo considerando anche la giornata del trattorista con gli oneri sociali, eccetera.
I costi sono perciò schizzati alle stelle ed il rischio dell’abbandono dei terreni aumenta, con il produttore che non trova mai una gratificazione di natura economica. Ad esempio, il prezzo dell’olio che è davvero ridicolo: non riusciamo a sostenere i costi di produzione a paragone dei prezzi di vendita del mercato all’ingrosso o che impongono gli imbottigliatori.
Un livello impensabile per i produttori.
E’ qualcosa di insostenibile, se pensiamo che oltre al danno del prezzo basso del prodotto si debbono aggiungere i costi della materia prima, del gasolio ed anche dei concimi. E lo stesso accade per quanto riguarda le aziende zootecniche con i mangimi: pensiamo alla carenza di mais, che non è tutto prodotto in Italia, ma viene importato anche dall’Ucraina.
L’esplosione dei costi dei concimi e quello dei mangimi, quindi, si aggiungono al danno del basso riconoscimento del valore del prodotto.
Parliamo dell’olio e della produzione anche rispetto agli altri paesi. Qual è lo stato dell’olivicoltura in Europa e nel bacino del Mediterraneo?
Noi paghiamo un ritardo politico sull’agricoltura. Dò atto che negli ultimi tempi il governo italiano, il Ministero delle Politiche agricole, il Mipaf, sta riprendendo in mano la situazione. L’agricoltura è, finalmente, tornata a essere considerata un settore strategico dell’economia nazionale. Ma solo da poco e dico perché: l’Italia era il primo produttore di olio extravergine di oliva e ci siamo fatti superare abbondantemente dalla Spagna.
Come mai?
Questo è accaduto perché il governo di Madrid e la politica ha davvero “attenzionato” il settore, ed ha predisposto i Piani olivicoli per tempo facendo diventare la Spagna prima nazione produttrice. Nel frattempo, altri paesi come la Tunisia, la Turchia, l’Egitto ed altre nazioni che si affacciano sul Mediterraneo non sono rimasti a guardare. Hanno fatto notevoli passi in avanti, quasi “rubando”, prendendo il know how da noi italiani ed investendo nell’olivicoltura di precisione, tutta improntata ad una visione industriale.
Ciò è avvenuto mentre noi italiani, per fortuna aggiungo io, abbiamo mantenuto un’olivicoltura legata alle tradizioni, alla biodiversità. Noi ci contraddistinguiamo rispetto alle altre nazioni produttrici di olio perché abbiamo una ricchezza che gli altri paesi non hanno: la biodiversità. L’Italia ha oltre 400 coltivativi, a differenza della Spagna che basa tutto su quattro o cinque di essi, ma che però, in termini qualitativi, non danno lo stesso risultato degli olii italiani. Ma non dobbiamo dormire sugli allori, perché anche gli altri paesi inseguono la qualità e iniziano a produrne.
E’ necessario puntare sempre più sull’alta qualità dell’olio italiano, dunque?
Sì, dobbiamo innalzare sempre più il livello qualitativo, non abbandonando il ciclo della biodiversità, e cercando di innovare al meglio i tradizionali oliveti presenti in Italia per via delle nostre peculiarità orografiche. Noi non abbiamo immense distese: in Puglia vi è il Foggiano, il Tavoliere, ma le altre zone sono collinari, e si pensi all’Appennino che attraversa tutta l’Italia. Qui è complicato fare un’olivicoltura a livello industriale, di tipo molto “spinta”, ma è necessario trovare il giusto compromesso che abbatte i costi di produzione e ci permette di introdurre nuove tecniche e tecnologie che, unite alla qualità del prodotto, riescano a reggere sul mercato. Sono queste anche le nuove sfide che attraggono quei giovani che si affacciano all’agricoltura.
Roberto Pagano –
direttore Lazio Sociale|Europa Sociale