Road to Tokyo 2020: Seoul 1988, Il sogno diventa realtà
Giovanni Di Giorgi
Direttore editoriale della casa editrice Lab DFG
Con questo capitolo si chiude la nostra “road to Tokyo”. Ce l’abbiamo fatta, siamo praticamente arrivati. Il 23 luglio inizieranno le prime Olimpiadi del dopo pandemia, quelle che abbiamo aspettato per un anno intero e che fino all’ultimo ci hanno tenuto con il fiato sospeso. Si faranno? Non si faranno? Come si faranno? Mi piace pensare che alla fine lo sport l’ha avuta vinta. Non a caso chiudo questo cammino con la finale olimpica di Seoul 1988 tratta dal libro L’ottimismo della volontà di Davide Tizzano canottiere, capace di vincere due ori olimpici: a Seoul 1988 e Atlanta 1996, in due specialità diverse (quattro e doppio). Velista con Il Moro di Venezia, manager. È l’immagine di un uomo di sport che rappresenta tutta l’Italia.
Olimpiadi di Seoul 25.9.1988, fiume Han, finale canottaggio
“Eravamo noi i favoriti e ci sentivamo pronti al combattimento. La Germania Est partì fortissimo ma non ci facemmo sorprendere. La nostra barca aveva un’altra velocità e già alla boa dei primi 500 metri Piero chiamò un attacco e come un’orchestra affiatata aumentammo il ritmo e iniziammo a guadagnare metro dopo metro. Primi ai 1.000, primi ai 1.500, mancavano gli ultimi 500 metri e io cercai di restare incollato alla schiena di Agostino per non perdere neanche per un attimo la concentrazione.
Iniziammo a sentire il boato del tifo già a 300 metri dall’arrivo ma io pensavo solo a tirare e a seguire Agostino come un’ombra. Ai 150 metri aspettavo che Piero ci chiamasse gli ultimi dieci colpi come faceva sempre, ma non disse nulla. Stavolta non ce ne fu bisogno. In quel momento ero concentrato nel non fare nessun errore perché se mi fosse scappato il remo da mano e avessi messo la pala male nell’acqua i miei compagni mi avrebbero ucciso.
Arrivammo come dei fulmini all’arrivo, incuranti del fatto che dietro di noi si era scatenata una battaglia serrata per il secondo posto tra Norvegia e Germania Est. Avevamo accumulato un tale vantaggio che non fu necessario neanche aumentare i colpi negli ultimi metri. Tagliammo il traguardo e la tribuna esplose come se tutti i 15.000 spettatori fossero italiani. Venti minuti prima un altro equipaggio azzurro aveva vinto la medaglia d’oro e quel giorno scrivemmo una bella pagina nel libro della storia dello sport italiano. Il nostro equipaggio fu giudicato dagli osservatori stranieri come uno degli equipaggi più belli degli ultimi venti anni.
La cerimonia di premiazione fu bellissima e indimenticabile anche perché mia madre, che nei giorni precedenti aveva regalato a tutti i responsabili della tribuna le spallette tricolori, riuscì ad arrivare quasi fino al pontile della premiazione. Appena rientrammo a terra fummo accolti da un grande abbraccio collettivo. Allenatori, compagni di squadra e giornalisti. Beppe De Capua e Giampiero Galezzi volarono in acqua e noi con loro. Nella concitazione dei tuffi e della gioia accadde che la mia medaglia si stacco dal nastrino e scivolò via nelle acque torbide del canale. Neanche il tempo di averla al collo e già era sparita: un vero record!
Tutti, me compreso, rimasero senza parole, ma la festa era appena iniziata ed eravamo certi che in un modo o nell’altro l’avrei recuperata. In effetti la notizia si sparse velocemente e la Marina Militare sudcoreana inviò un gruppo di subacquei che già un’ora più tardi iniziarono le ricerche per poi ritrovarla due giorni dopo. Me la restituì Beppe Di Capua e fui contento di averla vinta per la seconda volta. Dopo il controllo antidoping per il quale ero stato sorteggiato, mi unii ai miei compagni per le foto di rito. Eravamo tutti molto felici e sorridenti ma ancora inconsapevoli che quella vittoria avrebbe cambiato per sempre le nostre vite.
Quando varcai per la prima volta la soglia del Centro Nazionale di Piediluco nel 1982, smisi di essere un bambino e dopo quella vittoria a Seoul smisi di essere un ragazzo. Erano passati solo sei anni, ma tutto era andato a una velocità tale da sembrare un bellissimo sogno. La sera festeggiammo tutti insieme a Casa Italia con le bellissime ragazze del fioretto femminile che avevano vinto la medaglia d’argento a squadre. Con Agostino, Piero e Gianluca componevamo uno degli equipaggi più belli e vincenti del canottaggio italiano ma quello che contava di più era che il nostro legame sarebbe durato per sempre. Oltre a Gaetano e Carlo, avevo trovato altri tre fratelli.
Non lo sapevo ancora, ma quella fu l’ultima volta che noi quattro remammo insieme, incredibile ma vero. Da qual giorno in Corea non siamo più usciti tutti e quattro su una barca di canottaggio.
Aver remato con loro è stato un grande onore per me e sono grato a tutti e tre per quello che abbiamo condiviso ma soprattutto per avermi insegnato a essere uomo. Con loro ero salito su uno dei quattro di coppia più veloce della storia e in un certo senso, da allora non ne sono più sceso.”
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