LAVORARE A MAGLIA PER RIDURRE LO STRESS PER LE PAZIENTI ONCOLOGICHE. LO SPIEGA IL DOTT. FABIO RICCI

Un rimedio naturale per scaricare la tensione, per tenersi utilmente impegnate nella difficile attesa: lavorare la lana a mano, con il classico metodo delle nonne, quello con i ferri per creare maglie e uncinetti.
E’ questo a cui si può assistere da qualche tempo all’interno delle breast unit di alcuni ospedali d’Italia: è la cosiddetta lanaterapia, che aiuta e sostiene le pazienti oncologiche, donne che aspettano di eseguire una mammografia o di entrare in sala operatoria. Una realtà affascinante e a tratti commovente, se si considera il contesto in cui avviene, ed è anche accompagnata da un’altra finalità di carattere sociale. Per eseguire tali lavori certosini, infatti, si utilizza un gomitolo colorato fatto di lana che altrimenti verrebbe bruciata. Così lo stress e l’ansia che solitamente accompagnano questi momenti di attesa vengono temporaneamente messi da parte grazie a questi gomitoli rosa.
Lo sferruzzarre di tante mani diventa così un distensivo rumore di sottofondo che combatte ansia stress che precedono appuntamenti così importanti per donne che aspettano di eseguire una mammografia o di entrare in sala operatoria.
La lanaterapia è una vera e propria terapia non farmacologica introdotta in Italia dal 2012 dall’associazione Gomitolorosa di Biella. Ad oggi sono 10 gli ospedali coinvolti in tutta Italia.
“Gomitolorosa ha visto la luce quando il nostro presidente Alberto Costa, chirurgo senologo, ha iniziato a interessarsi ad alcuni fuochi che vedeva apparire sulle alture attorno a Biella – ha detto Ivana Appolloni, direttrice di Gomitolorosa, in una recente intervista -Informandosi ha scoperto che si trattava della lana di scarto delle pecore, che veniva abbandonata e mai recuperata dal momento che per gli allevatori si sarebbe trattato di un costo aggiuntivo. Così ha deciso di creare una risposta a questo problema di spreco, unendo il recupero del materiale al concetto di terapia non farmacologica per le donne affette da tumore al seno di cui si è occupato per tutte la vita accanto al professor Umberto Veronesi. Nel corso della sua esperienza aveva infatti notato che le pazienti, se costrette ad aspettare diverse ore in sala d’attesa, se avevano con sé lavori manuali da fare erano molto più tranquille”.
Così, nelle sale d’attesa degli ospedali coinvolti vengono posizionati appositi cestini con all’interno gomitoli e ferretti e alcune volontarie coinvolgono le donne nell’attività, insegnando le basi a chi non l’ha mai fatto e facendo compagnia a chi è già capace. Concluso il periodo di attesa, il lavoro viene lasciato lì e la donna che arriverà dopo potrà riprenderlo in mano, una sorta di filiera fatta di benessere, solidarietà e sostenibilità ambientale.
Tra i protagonisti di questa iniziativa c’è il dottor Fabio Ricci, Direttore della Breast Unit dell’Ospedale Santa Maria Goretti di Latina, che ha avuto il merito e l’intuizione di introdurre la lanaterapia nel 2019. “Lei può soltanto immaginare cosa significhi per una donna ricevere una diagnosi di tumore al seno – afferma il dott. Ruicci – È una cosa devastante, un martirio che colpisce non soltanto la donna ma la sua intera famiglia. Quando riceve una diagnosi di questo genere, la donna viene colpita nella sua sessualità, nella sensualità e anche nel proprio vissuto, perché il seno è la parte del corpo attraverso cui una donna può ripercorrere tutta la propria evoluzione come donna, dalla prima mestruazione fino all’allattamento del proprio figlio. Per questo all’inizio del progetto ero un po’ scettico all’idea di mettere insieme tante donne ferite, l’effetto avrebbe potuto essere devastante. Invece è accaduto qualcosa di straordinario. Tutte queste piccole fragilità non si sono sommate, anzi hanno dato vita a una grande forza. Come se tutti i segni negativi fossero diventati improvvisamente segni positivi.”
Da quando hanno iniziato, due anni fa, quasi tutte le donne che il dottor Ricci ha operato sono rimaste entusiaste dell’iniziativa.I benefici della lanaterapia, infatti, sono tanti e inequivocabili. “Innanzitutto la percezione del dolore è minore, perché concentrarsi sui ferri aiuta a vivere meglio gli stati di ansia e sofferenza – afferma ancora il dott. Ricci – Poi riduce l’ansia e lo stress, perché la ripetitività del gesto di cucire a maglia o all’uncinetto abbassa i livelli di epinefrina e norepinefrina che sono delle sostanze prodotte dal nostro cervello in condizioni di stress. Astrae il cervello dalla preoccupazione, dal momento che il rumore dei ferri è paragonabile a una sorta di mantra, un suono rilassante che agisce sulle zone prefrontali della corteccia cerebrale, quella che coinvolge il pensiero, l’ideazione, la fantasia. Rallenta poi il declino cognitivo, perché la procedura seguita con le mani stimola alcune zone del cervello. Infine, aumenta l’autostima, perché agevola i processi di socializzazione, migliora la capacità comunicativa di ciascuno grazie allo stare insieme, al contatto sociale, evitando di cadere nella solitudine e nella depressione. Viene rafforzata la perseveranza in tutti gli aspetti della vita”.
Con l’arrivo della pandemia purtroppo, non è stato più possibile far accedere le volontarie in struttura e soprattutto condividere i ferri, quindi sono stati confezionati dei kit individuali contenenti un gomitolo, un uncinetto e uno schema con le istruzioni sui punti che le donne hanno potuto portarsi a casa per coltivare l’attività del lavoro a maglia anche fuori dalla sala d’attesa. In questa occasione, è stato lanciato anche un progetto uguale in tutta Italia, ovvero la realizzazione collettiva di una coperta a esagoni.
“Per assurdo questo modello con il kit personale funziona ancora più di prima perché le pazienti se lo portano a casa e continuano a trarre benessere da questa nuova attività. Ogni donna lavora a un esagono colorato, che poi verrà unito agli esagoni creati dalle altre donne per realizzare infine una coloratissima coperta composta di tanti esagoni diversi da tante mani diverse.”
Anche i prodotti realizzati con questo lavorio delle donne hanno uno scopo solidale, come conferma Fabio Ricci:
“Noi facciamo le pochette per le donne che mettono i drenaggi. Ma anche coperte che poi vengono devolute in beneficienza per affrontare i periodi di freddo. Ora abbiamo avviato un nuovo progetto per realizzare le cuffiette per neonati da donare al reparto di neonatalità. Corredini con cappellini, scarpette, sacchi per la nascita e copertine da donare al Centro per la vita della Mangiagalli.
Dobbiamo capire che noi non dobbiamo curare il cancro, ma la donna affetta da cancro. È un ribaltamento del paradigma iniziale. Secondo me bisogna curare quella donna con quella malattia, non la malattia. La donna va curata nel suo contesto sociale, affettivo, emotivo, dare qualità agli anni che uno vive. Questo è quello che ho imparato da tutto questo.”

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