Femminicidio
“Essere donna è un compito terribilmente difficile, visto che consiste principalmente nell’avere a che fare con uomini”. Joseph Conrad
Anche oggi, leggendo i giornali, ho appreso di uomini che hanno ucciso il partner.
Sono tanti anni ormai che hanno riconosciuto il voto alle donne, ma quando ci daranno l’opportunità di dire: io ti voglio lasciare e lasciami viva?
“Delle tante, troppe donne che pensavano di essere amate “son piene le fosse””.
Purtroppo, i numeri sono impietosi.
L’emancipazione della donna è avvenuta e ben avviata, i diritti sono apparentemente garantiti e paritari (anche se nella pratica non è spesso così), eppure ci sono ancora uomini che concepiscono la donna come una loro proprietà, l’amore come un sentimento esclusivo nei loro confronti, e che sentono la propria virilità intaccata da un rifiuto, da un «no», da un addio.
E non si tratta, come erroneamente e frettolosamente si crede, di uomini dalla mente disturbata, di violenti, di psicopatici. Tanti di loro vengono descritti, da conoscenti e familiari, come ragazzi gentili, premurosi, che regalano fiori e attenzioni alla propria fidanzata, un po’ gelosi forse, ma «che amore sarebbe senza un po’ di sana gelosia?» recita il vecchio adagio; anche la saggezza popolare a volte sbaglia.
Che cosa significa dunque il femminicidio?
Rispondo con le parole di Michela Murgia, la quale ci dice che “la parola femminicidio non indica il sesso della morta. Indica il motivo per cui è stata uccisa. Una donna uccisa durante una rapina non è un femminicidio, sono femminicidi le donne uccise perché si rifiutano di comportarsi secondo le aspettative che gli uomini hanno delle donne. Dire omicidio ci dice solo che qualcuno è morto. Dire femminicidio ci dice anche il perché”.
Ormai pressoché quotidianamente ci arriva dalla cronaca la notizia di uomini che uccidono donne, non donne qualunque, la moglie, la fidanzata, la compagna, numeri da bollettini di guerra, che non accennano a diminuire, purtroppo.
Si tratta molto spesso di uomini fragili, incapaci di accettare che una storia può finire, incapaci di metabolizzare un abbandono, incapaci di incassare un no.
Una debolezza, questa, che si trasforma in rabbia, in ossessione, in desiderio di distruzione, che obnubila la mente e cancella ogni sentimento non solo di amore, ma persino di umana pietà, o che, altrettanto spesso, non fa che disvelare la vera natura prevaricatrice dell’uomo.
Spesso, di fronte alla consapevolezza che il partner sta davvero per voltare pagina, si scatena la reazione brutale.
Sovente la vittima viene seguita, appostata, spiata, braccata per giorni, senza avere scampo.
Il più delle volte non si tratta di gelosia, ma di spirito punitivo. Si uccide perché non si sopporta e tollera quello che agli occhi del carnefice appare come un vero e proprio atto di insubordinazione.
Dobbiamo compiere ogni sforzo affinché anche gli uomini capiscano l’importanza del rispetto in famiglia, nel mondo del lavoro e delle relazioni, nella speranza che sappiano camminare al fianco di una donna per sostenerla (senza imporle la strada da seguire o, peggio, condurla in un vicolo cieco) e sappiano accettare i no, le porte chiuse, le retromarce, gli abbandoni.
Gabriella Marano
Dottoressa in Psicologia – Criminologa