Nicola Tavoletta: ieri 29 settembre
Ieri 29 settembre alle ore 19,29 ero per un impegno presso una Parrocchia sulle colline laziali. Finisce la riunione, ovviamente con pochissime persone, distanziati e in mascherina e mi allontano verso i campetti dell’oratorio. Gioca a calcio un gruppo di ragazzi, sfugge il pallone, esce dalla linea laterale. Eccomi, mi curvo, esterno destro di collo, cross e il pallone è al centro dell’area. Entro a giocare con loro. Troppo felice.
Ieri 29 settembre, ore 19,29, l’agenzia stampa batte la notizia: AGI – Un pulmino è saltato su una mina piazzata sul ciglio della strada nella provincia centrale afghana di Daikundi, uccidendo 14 persone, tra cui sette donne e cinque bambini. Lo ha riferito il portavoce del ministero dell’Interno, Tareq Arian, precisando che altri tre bimbi sono rimasti feriti nell’esplosione per la quale il governo ha accusato i talebani.
Questa mattina ho letto l’agenzia e ho ricordato cosa facessi in quello stesso momento.
Non voglio scrivere un articolo emozionante o retorico, non voglio suggestione nessuno.
Vorrei lanciare solo un messaggio, aprire una riflessione, perché riusciamo ad equilibrare la scala delle priorità della vita comune. Fortunatamente l’Italia si è emancipata tantissimo, viviamo una realtà tendente al pacifico, anche se Capaci o la Strage di Bologna non sono così lontane nel tempo, ma possiamo e dobbiamo ancora togliere quell’astio sociale, propagandistico, che rende tutto incerto e cerca di destabilizzare la nostra comunità. Da quindici anni vi è una diffusa volontà di destabilizzare culturalmente la nostra comunità. Una Italia che ritorna a ridare la leadership alla cultura della mediazione è una Italia forte, sicura, accogliente, in salute.
È una Comunità che può trasferire la convinzione della sacralità della vita, quindi della pace, anche agli altri popoli che vivono nella guerra. Il modello espresso da Trump e Biden nel volgare dibattito elettorale è l’esempio da manuale da evitare. La mia riflessione mi convince sempre di più che le nostre città possano diventare laboratori di pace per esprimere un modello di sicurezza e benessere attraverso la cultura della mediazione. Per approfondire questo tema credo che debba leggere la storia di Giorgio La Pira, allora mi fermo. Credo che abbiamo già le istruzioni per lavorare insieme, leggiamole. Questo sarà un impegno delle Acli provinciali di Latina: promuovere quelle letture per tutti coloro che vorrebbero occuparsi della comunità.
Nicola Tavoletta