L’ uomo solo al comando

In questo nuovo modello di pensiero manicheo dove o si è dalla parte dei giusti o da quelle dei colpevoli, si sono inserite le figure dei leader politici come uomini decisivi.
In effetti la storia delle democrazie è piena di leader sin dai suoi recenti sviluppi perché va ricordato che le democrazie nel mondo sono presenti da relativamente poco tempo e prevalentemente dalla fine della seconda guerra mondiale.
Come dimenticare i nomi di De Gaulle, di Churchill, di Brandt e in tempi più recenti di Thatcher, Kohl, Mitterrand , Blair, tanto per citarne alcuni e solo in Europa.
Ma anche Kennedy, Nixon, Reagan, Clinton, tutti grandi leader nei loro paesi.
Però l’idea dell’uomo, o della donna, che da solo basta a comprimere e comprendere ogni bisogno e tutte le esigenze nella sua azione politica, si è fatta sempre più largo nelle convinzioni degli italiani.
Si parte dal noi per diventare io.
“Noi abbiamo fatto” è sostituibile dal più rapido “ io ho fatto” e quando va male “loro non hanno permesso che io potessi fare” dove il plurale “loro” è adattabile a più categorie e quindi a molteplici nemici ,che fanno tanto onore.
Eppure noi venivamo da una concezione, quella della prima repubblica, dove non vi era un solo leader ma diversi leader che operavano all’interno del proprio gruppo politico.
( anzi la parola Leader non si usava proprio)
Anche il PCI ,che era il più verticistico ed il più granitico dei partiti italiani ,aveva si un leader ma con altri leader di peso che ne limitavano la potenza e che garantivano una sfaccettata interpretazione del messaggio politico .
Persino il PCI, per non parlare della DC dove individuare un unico leader era un compito impossibile.
Ed anche i partiti più piccoli ( ad esclusione del PRI dove ricordo solo i La Malfa) avevano più leader ,insieme al segretario.
Eppure funzionava al punto tale che il consenso era pressappoco consolidato e le grosse erosioni di voti o le incredibili ascese rapide ed inconsistenti non si sono mai verificate.
Oggi siamo in tempi diversi ma questa passione per il singolo, la singola persona come rappresentante unico, fa si che nello spazio di pochi anni uno stesso elettore ( perché è così che va letta la cosa) vota per leader diversi , magari cambiando simbolo più volte.
C’e’ anche chi, vedi Salvini soprannominato “il Capitano”, cambia anche fisionomia per rimanere sulla cresta dell’onda dei consensi.
Quasi come a dire: non mi vedete più come leader in felpa e supplì o a torso nudo con la piadina? Ebbene cambio dressage, occhiali inclusi.
Ma essere leader a cosa serve, se non a finire dalle stelle alle stalle in un baleno?
Dovrebbe servire ad essere espressione di un team, di un insieme di pensieri convergenti , di singole individualità tutte al servizio della medesima operazione ed attività politica.
Il leader non deve essere colui che ha la visione ma colui che questa visione la manifesta, colui che esprime la visione comune e coerente, di un partito o di una coalizione di partiti.
Penso alle figure di Trump, Johnson e Bolsonaro ed alla loro solitudine, circondati da yes man voluti di proposito, ed a dove questa mancanza di confronti serrati con persone di pari spessore ( nel caso è un eufemismo, lo so), le loro dissennate scelte stanno portando le persone che debbono governare.
Spero davvero che non si verifichi mai l’ipotesi del “datemi i pieni poteri” in questo nostro amato paese , a nessuno mai.

Agostino Mastrogiacomo
Presidente Acli Terra latina

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