Contributo al dibattito, di Nicoletta Zuliani

Quello che si chiede alla politica a tutti i livelli in momenti di particolare difficoltà è l’unità.
Ma come si fa?

Mi sono trovata più volte a riflettere e ad argomentare la differenza che c’è tra COLLABORARE e CONDIVIDERE, perché troppo spesso questi due concetti vengono confusi, e invece hanno significati completamente diversi.

COLLABORARE presuppone un lavoro di affiancamento momentaneo per una particolare circostanza che vede una reciproca convenienza: il lavoro dell’uno è utile anche all’altro e viceversa. Nel momento in cui le condizioni cambiano la collaborazione può anche terminare. Il beneficio di questa collaborazione è circoscritto alle parti che la attuano. Si procede insieme su barche diverse solo per un po’, poi ognuno prende la sua strada.

La CONDIVISIONE è ben altro.
Quando si condivide si fa una sorta di investimento, ci si mette del proprio rischiando. Si condivide un obiettivo, la destinazione, si sceglie insieme il metodo per raggiungere l’obiettivo, si condividono i fallimenti e i successi, insomma si è sulla stessa barca. E gli effetti, se la barca va in porto, non si limitano ai singoli che hanno investito su quel progetto, ma si estendono a tutta la comunità.

In questo periodo di pandemia si è parlato molto di condivisione: tutto il mondo ha condiviso la stessa condizione di pericolo e di incertezza, abbiamo vissuto contemporaneamente la limitazione della nostra libertà, abbiamo condiviso sentimenti di paura, lutti, perdite, e va trovata una soluzione condivisa. L’Europa ci ha dimostrato quanto la condivisione cercata al livello di parlamento europeo sia difficile da attuare a livello di consiglio europeo, dove i governi dei singoli paesi rivendicano ognuno per sé l’inizio o la fine di una collaborazione.

Abbiamo sperimentato quanto sia stato difficile, e lo sia tuttora, da parte dell’amministrazione Coletta attuare quanto di più profondo e motivante aveva attivato e i sostenitori di LBC: la partecipazione, e la condivisione, tanto che molti hanno sentito traditi i principi da scelte e prassi amministrative e politiche autoreferenziali e per nulla condivise.

Ma perché è così difficile CONDIVIDERE in politica?
La non lunghissima storia del mio partito insegna che i distinguo hanno sempre un po’ caratterizzato l’agone politico: i 40 saggi che avevano posto le fondamenta di un nuovo partito sapevano che andavano contro la spinta individualista di molti, tanto che all’indomani della nascita del partito democratico nasce anche la fondazione Red di D’Alema, e già questo imprimeva un modus operandi di distinguo per continuare ad esistere e ad essere interlocutore e pertanto ad incidere sulle decisioni.
In questo modo si innesca un meccanismo di rapporti di FORZE.
La forza imposta attraverso un distinguo è evidentemente sintomatica di mancanza di condivisione, mancanza di quell’“investimento di capitale iniziale” che ognuno è tenuto a mettere, (e quindi a rinunciare ad una parte di sé) per la buona riuscita del progetto.
C’è quindi sempre una lotta tra l’unire (condividere, cedere per dare forza al comune obiettivo) e il salvaguardare la propria prerogativa di esistere, per contare e pesare nelle scelte.

Il punto di confusione è proprio questo: chi si unisce non deve perdere la propria identità, la propria dignità di rappresentare ciò che rappresenta.
La condivisione non prevede l’annientamento, l’annullamento delle singole individualità con le loro caratteristiche e peculiarità; presuppone il riconoscere che proprio quella peculiarità è indispensabile, che l’obiettivo che si vuole raggiungere è comune a tutti, sta già dentro ogni membro e questo ne costituisce la comunanza e il profondo senso di appartenenza. Ognuno con la propria unicità.

Questo è il sentimento che deve muovere le forze politiche e sociali verso le prossime elezioni amministrative: ci si aggreghi su basi valoriali investendo su un progetto vero, fatto di gente competente, che sa di amministrazione e di politica. E che sappia CONDIVIDERE.

Nicoletta Zuliani

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