PLASTICHE

Una delle prospettive di nuove economie che si realizzerà nel futuro prossimo è nella fabbricazione di bioplastiche.
Ovvero la graduale sostituzione o limitazione degli attuali contenitori e degli attuali formati di packaging con materiale biodegradabile.
Materiali che vengono ricavati prevalentemente da residui della lavorazione dei prodotti dell’agricoltura , della pesca e della zootecnia
Anche il settore della moda sta alimentando, attraverso le scelte di produzioni sempre più ecologiche , la ricerca tecnologica per tramutare gli scarti della produzione agroalimentare in tessuti di particolare novità.
Gli scarti delle bucce di mela per la produzione di succhi di frutta, tanto per fare un esempio, sono di 500.000 tonnellate solo in Europa ( prevalentemente Italia e Germania) che sono state destinate, per lo più, alla produzione di biogas.
Alcune start-up ( Italiane , va detto) sono state in grado di trasformare questo rifiuto in un sottoprodotto da destinare alla produzione di pellame ecologico molto versatile ed ha destato molto interesse nei vari brand di alta moda . Si chiama Pellemela, ha tutte le caratteristiche per acquisire consenso dagli operatori del settore moda e design e c’e’ chi giura che nei prossimi anni diventerà un prodotto assai affidabile ed accessibile a varie fasce di consumatori.
Ora i processi di produzione sono ancora in competizione svantaggiata con i prodotti tradizionali derivati dal petrolio, soprattutto grazie a diverse economie di scala, ma la tecnologia e la logistica sono orientate a risolvere l’attuale gap economico in breve tempo.
Ma non è l’unico caso.
Marina Tex è una nuova plastica che si può ottenere dagli scarti della lavorazione del pesce.
Ed in particolare dalla lavorazione dei crostacei e di prodotti destinati all’alimentazione umana derivati da crostacei.
E’ un’idea sviluppata da una ricercatrice inglese e che ha determinato un brevetto, sempre del Regno Unito e che ha avuto il suo impulso iniziale della consapevolezza che i rifiuti speciali ( gli scarti) prodotti dall’industria delle lavorazioni del pesce ammontano a 50 milioni di tonnellate i cui 8 solo dai crostacei.
Ebbene, proprio i crostacei hanno nel carapace (le corazze esterne) sostanze (cheratine) assimilabili alle plastiche.
Attraverso processi di trasformazione abbastanza semplici e di basso impatto ambientale è possibile estrarre da questi scarti un prodotto primario versatile e lavorabile almeno quanto il PCP ma completamente biodegradabile .
Attualmente i costi sono soprattutto nella logistica e nel reperimento dei materiali di base( gli scarti) a causa della loro degradabilità e del facile deperimento.
C’è da credere che nell’arco di pochi anni, forse un decennio, le forti spinte che vengono dal mondo dei consumatori e da buona parte della politica dei paesi sviluppati, agevolino sempre di più la ricerca ed il ricorso ad un’economia di recupero e di riciclo in modo economicamente competitivo.

Agostino Mastrogiacomo
Presidente Acli Terra Latina

 

 

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