Pubblicità e cibo.
Secondo una comune interpretazione, molto diffusa, la vita delle persone nelle campagne italiane “di una volta” era un esempio di qualità e sopratutto di salubrità.
Si viveva bene e tanto.( ne parleremo un’altra volta)
L’immaginario umano spazia tra fanciulli che giocavano sereni nelle corti , uomini e donne che con ritmi lenti lavoravano la terra, godevano del buon clima e di paesaggi invidiabili, ottimi rapporti di buon vicinato e sopra ogni cosa di una cucina ricca, varia e piena di sorprese conservate in dispensa.
E’ interessante cogliere questa fascinazione anche nello sviluppo delle pubblicità che riguardano i prodotti destinati all’alimentazione e come si sono sviluppate nel nostro paese.
Questa attenzione verso le tradizioni culturali , più che di quelle strettamente gastronomiche, è un elemento che ha sempre trainato il consumatore anche nei primi anni del secolo scorso, quando le pubblicità alimentari si sono affacciate alla massa dei “costumer” ma con marcate differenze rispetto ad oggi.
L’origine culturale dell’alimento pubblicizzato veniva appena accennato mentre venivano esaltate le caratteristiche di novità, di modernità, in qualche modo di affrancamento da una società contadina conosciuta molto bene da quasi tutti ( l’80% della popolazione italiana viveva in realtà rurali e la civiltà contadina era a ridosso di ogni città, anche di quelle più grandi e industrializzate). E’ il caso , ad esempio, del Campari( la cui bottiglietta conica fu disegnata dal futurista Depero) del Cinzano e del Martini.
I cioccolatini della Perugina facevano sì riferimento al passato ma a quello glorioso e rocambolesco dei Moschettieri di Dumas, utilizzati come veicolo seriale ( in ogni scatolina si trovavano raffigurati episodi della storia di D’Artagnan) e anche case storiche come Cirio e Buitoni accennavano appena alle origini dei prodotti offerti al popolo italiano.
L’effetto rassicurante era dato anzitutto dalla formula pubblicitaria che ricordava che erano a consumo di tutti: per grandi e piccini.
Successivamente, a partire dagli anni 1950 e seguenti , la pubblicità dei prodotti alimentari , grazie soprattutto ai messaggi diffusi per televisione, ha contribuito profondamente alla creazione di una sorta di coscienza nazionale, di un’appartenenza territoriale che si può definire Italiana.
In tutte le dispense della nostra patria si potevano trovare alcuni prodotti che hanno omogeneizzato un “gusto nazionale” da Porto Empedocle a Bressanone .
I pelati e il doppio concentrato , la pasta di semola di grano duro in confezione, la carne in scatola, il tonno, i fagioli, i dadi da brodo. E nel frigorifero anche il Parmigiano Reggiano, il Salame Negroni, il Galbanino,i formaggini, la margarina ed il burro .
Polenta e riso uscirono dalle loro terre di produzione e lentamente si sono sparsi ovunque.
L’intera Italia delle ristorazione conobbe l’acqua frizzante ed i grissini torinesi in confezione.
Ninetto Davoli ,travestito da fornaio, in uno spot spingeva una bicicletta piena di Crakers Pavesi e Nino Manfredi ha bevuto migliaia di caffè Lavazza in diretta tv, perché si sa : tira su.
Solo il vino , forse per la sua diffusa presenza ovunque, è rimasto un prodotto tipicamente regionale, anzi locale, ma questa è una storia diversa e la racconterò un’altra volta.
Non era mai accaduto che l’ Italia diventasse nazione mettendo tutti d’accordo senza conflitti culturali e questa coscienza si consoliderà anche con le passioni sportive, calcio in primis.
Del resto era quasi obbligatorio: nei secoli in cui l’Italia non era nemmeno un’ipotesi esisteva ed era nominata solo nei testi di gastronomia. ( G.Castelvetro ed altri).
A partire dagli anni 1980 la Barilla inizia una campagna pubblicitaria molto coraggiosa.
Infatti lo staff della comunicazione ha notato la presenza sul mercato di piccoli produttori che, in particolare sulle conserve di frutta ma anche su paste artigianali e altro , sfruttano l’immagine di una nonna o di un nonno che vivono in campagna e che detengono la conoscenza di processi produttivi ancestrali che garantiscono alle loro confetture, biscotti, paste artigianali, una qualità superiore intesa come bontà e garanzia di incontaminabilità. Quasi di purezza.
La “riscoperta” delle loro “ricette” assume quindi un valore altamente positivo, un attributo vincente nello spot di informazione pubblicitaria.
Stava per nascere un nuovo messaggio di massa che con l’avvento di internet obbligherà consumatori, produttori, distributori e rivenditori a rivedere le regole d’ingaggio che lega tutti loro ( tutti noi) .
Ma torniamo alla Barilla: come reagisce a questo nuovo input che viene dai piccoli produttori altrimenti destinati a scomparire da un mercato sempre più industrializzato?
Crea il famosissimo Mulino Bianco e diffonde in tv messaggi di pubblicità che rimandano ad un mondo dimenticato e parallelo, perfettamente raggiungibile.
Un mondo apparente dove la campagna accoglie il moderno consumatore in un abbraccio ideale fatto di comfort diffusi. Pace, bellezza, armonia, riflessione, tempo, il tutto racchiuso in astucci di prodotti della panetteria e biscotteria.
Un trionfo che sigla la tregua ancora in atto ( in rapida evoluzione, forse un nuovo conflitto è all’orizzonte) tra civiltà contadina e cultura urbana e di città metropolitane.
Ovviamente tutto può sembrare un grande inganno.
E’ ovvio che quei prodotti incartati in confezioni che ci mostrano un mondo quasi bucolico sono frutto di un processo altamente industriale.
Ma resta il fatto che il consumatore, pur accettando questo benevolo “raggiro”, ha elevato l’asticella dei suoi bisogni verso una migliore qualità sul come ( e quanto) si nutre.
Il processo è in divenire, lo sappiamo tutti.
I bisogni si sommano ai bisogni, i miti travolgono le conoscenze e la confusione non manca.
Ma tutto questo non dove farci dimenticare che il punto di partenza , il meraviglioso mondo della campagna che fù , è illusorio ed errato nel modo in cui spesso ci viene rappresentato.
Ma questa è un’altra storia che racconterò presto.
Agostino Mastrogiacomo Chef.