1989-2019/ Costantino Coros: Storia e memoria per un futuro senza muri

Sono passati trent’anni dalla caduta del muro di Berlino. Un confine che separava due mondi. La mente corre indietro nel tempo a ripescare ricordi personali. Erano i primi giorni del mese di settembre del 1989, l’aereo atterrò all’aeroporto di Budapest, la capitale dell’Ungheria, un paese che faceva parte del cosiddetto Patto di Varsavia, anche se per tradizione e posizione geografica decisamente mitteleuropeo.
I controlli scrupolosi delle guardie di frontiera, gentili ma rigide nello svolgimento del loro compito non facevano apparentemente pensare a ciò che sarebbe accaduto di lì
a poco. Nei giorni seguenti il clima che si respirava in città era come se si vivesse in un contesto ovattato dove tutto si ripeteva costantemente senza nessun particolare sussulto. Dal tassista, al conducente di autobus, ai camerieri nei ristoranti, agli
studenti universitari, ai turisti, agli affittacamere fino ai notiziari si parlava di tutto tranne di quel vento che sarebbe arrivato portandosi via per sempre un mondo post-bellico, costruito per gestire l’equilibrio tra le due grandi potenze mondiali di allora: Usa ed Urss. Il soffio di libertà che avrebbe aperto le frontiere non di una sola città; Berlino, ma dell’intero contesto geopolitico globale. Nei ricordi giovanili, rimane l’immagine di quel contesto sociale, così lontano dal nostro e la sensazione di essere
stato, forse uno degli ultimi a visitare un paese che si trovava al di là della cortina di ferro, prima della caduta del “muro”. Ma, a distanza di tanto tempo, l’uomo ha
continuato ad alzare barriere di tutti i tipi, fatte sia con il cemento ed il filo spinato, costruite per escludere pezzi di società, illudendosi così di assicurarsi la propria sicurezza mettendo in un angolo lo straniero, le persone fragili, i profughi dei conflitti. Tant’è che oggi i sociologi e gli studiosi dei fenomeni migratori hanno definito questo tipo di azione, adottata in molte parti del mondo, come “Teicopolitica”: ovvero come quelle scelte centrate sulle pratiche di chiusura dei
confini. Antonello Scialdone, uno degli studiosi più attenti rispetto a tali questioni ha recentemente ricordato che in tutto il mondo vi sono 69 barriere fortificate, mentre altre 10 sono in via di costruzione. Nello stesso contesto europeo si contano più di 100 km di ‘muri’ terrestri, la cui metà è nata negli ultimi tre anni. Il teologo Ghislain Lafont nello scritto “Il futuro è nelle nostre radici. La novità del Vangelo nell’Europa del terzo millennio” (edizioni Ave, anno 2005), ricorda che: <l’Europa dei confini che oggi provvisoriamente le riconosciamo, i quali comprendono tutti i paesi che si trovano a Ovest della Russia e della Turchia, è un continente ferito che si è costruito attraverso numerose guerre e molti morti, cosicché in ognuno di noi europei c’è una memoria carica di eventi dolorosi che ci schiacciano, anche inconsapevolmente, sotto il peso di risentimenti e di colpe. Tali eventi possono essere lontani o vicini:
finché non hanno dato luogo a parole di perdono richiesto e ricevuto e a prospettive di nuove relazioni conviviali pesano sulla nostra coscienza di europei. Ma interpellano anche la nostra coscienza cristiana e ci rinviano in modo forte al Vangelo>. Da qui un monito che può valere soprattutto oggi per risvegliare le coscienze sopite e curve sotto il peso dei troppi muri. Si tratta di quanto scriveva lo storico francese Marc Bloch, membro attivo della resistenza durante la seconda
guerra mondiale e fucilato dai Tedeschi, (in Apologia della storia, Biblioteca Einaudi, anno 1993): <comprendere il presente attraverso il passato> e, contemporaneamente, <comprendere il passato attraverso il presente>. Da cui ne consegue che <l’ignoranza del passato non si limita a danneggiare la conoscenza del presente, essa compromette, nel presente, l’azione stessa>. Dunque, per abbattere i muri di ieri e di oggi, occorre non chiudere gli occhi, ma avere quella curiosità che porta a voler capire e conoscere i fatti del mondo andando oltre ciò che appare in
superfice e diventare soggetti attivi nel contribuire a costruire concretamente una società che sappia accogliere l’altro, scegliendo di realizzare ponti di dialogo che sono il cuore pulsante della pace.

Costantino Coros
Coordinatore Lazio Sette Avvenire

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