Il valore della Funzione Sociale; povertà e ricchezza

Nella storia del Mondo c’è sempre stata la povertà, però costantemente il progresso sociale si è sviluppato migliorando la qualità della vita delle comunità.
Il lavoro, la politica, le religioni hanno contribuito al progredire dello sviluppo sociale, anche nelle fasi storiche nelle quali si sono consumati fenomeni drammatici: guerre o pandemie.
Ogni figura, fosse di espressione tecnica manualistica, intellettuale o spirituale aveva prima di tutto una funzione sociale che rivestiva un valore comunque e sempre superiore a quella economica. Era la funzione sociale di ogni persona che generava lo spirito di una comunità e il progresso sociale della stessa.
Le aspirazioni dell’uomo, prima ancora della ricchezza, sono state la pace e la libertà.
La stessa pace, la garanzia della libertà,  sono state “avvicinate” dall’umanità proprio quando le funzioni sociali riuscivano ad avere degli equilibri. La funzione sociale dei militari, se fosse prevaricante, mortificherebbe sia la pace che la libertà, così se fosse prevaricante quella dei commercianti, quella dei sacerdoti o di qualunque altra categoria sociale.
Nei secoli le disuguaglianze si sono lentamente, ma progressivamente ridotte, proprio perché le funzioni sociali hanno scandito i ritmi degli equilibri delle comunità.
Oggi abbiamo, invece, un evidente quadro nel quale vi è una repentina crescita delle disuguaglianze e quindi iniziano a depauperarsi i patrimoni di pace e libertà raccolti con il progresso sociale.
Una delle motivazioni deriva proprio da una cultura materialista che tende a sostituire la funzione sociale con quella economica.
L’introduzione della teoria dell’ uno vale uno in democrazia, la cultura del business nel lavoro hanno minato la funzione sociale di ogni persona, facendo emergere un individualismo speculare. Una scelta che ha visto il passaggio dell’uomo come persona, nodo di relazioni sociali, ad individuo, quindi consumatore.
La funzione sociale è la nobilitazione del lavoro che diventa progresso sociale, la funzione economica, invece, è la cessione del valore della conoscenza o della forza in cambio di un prezzo.
Il progresso tecnologico, infatti, se da un lato ha vantaggi dall’altro non è prodomico di pace è libertà senza il progresso sociale.
Il progresso tecnologico e la funzione economica superano e consumano l’individuo, il progresso sociale e la funzione sociale valorizzano la persona e la assecondano nella vocazione.
Non esistono più pace e libertà senza il progresso sociale generato dagli equilibri tra le funzioni sociali. Può esistere la  ricchezza economica e il progresso tecnologico senza pace e libertà, determinazione avuta proprio con il disequilibrio tra funzioni economiche.
Qual’e’ la vocazione e l’ aspirazione umana e della umanità?
La ricchezza materiale o il compimento di una libera esistenza in pace?
Nella nostra epoca c’è una crescente richiesta di partecipazione sociale, però vi è contemporaneamente una delegittimazione delle forme di partecipazione sociale. Uno spontaneismo individuale che soffre le soluzioni collettive di confronto, quelle basilari che saldano le relazioni e nelle quali si riconoscono le funzioni.
È in questa delegittimazione che l’individualismo economico e lo spontaneismo partecipativo divampano come soluzione illusoria per il benessere, il prestigio o la ricchezza.
Scrivo questa riflessione per sostenere che l’insicurezza lavorativa ed economica è si dovuta da un costo del lavoro alto o da congiunture internazionali, ma in una realtà come quella italiana, è prevalentemente dovuta a un crisi culturale.
Il lavoratore, autonomo o dipendente, non esprime la sua professionalità nella consapevolezza di svolgere una funzione sociale in una articolazione composita, ma tende ad interpretarla come fosse un competitore con l’unico premio quello dell’affare.
L’Italia ha una antichissima tradizione della valorizzazione della società tramite la funzione sociale delle professioni, ieri l’abbiamo persa nell’inseguimento del sogno americano.
Ci siamo illusi di essere competitori rampanti detentori del successo e siamo diventati consumatori inconsapevoli di un affare che non ci appartiene.
La instabilità lavorativa e professionale che mina la nostra sicurezza, che rende fragili le nostre prospettive o i nostri progetti, deriva proprio dal fatto che ci siamo consegnati al business perdendo di vista che il nostro lavoro prima di produrre ricchezza economica dovrebbe generare equilibri sociali, presidio di sicurezza sociale.
Questo è un tema sul quale la politica potrebbe concentrarsi e rigenerarsi, aprendo una fase riformista nella quale la persona ritorna al centro nelle e con le sue funzioni sociali.

Nicola Tavoletta

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