Cibo  di tribù.

Come ho più volte raccontato su queste pagine, il rapporto tra uomo e cibi  è in continua evoluzione.
Un’evoluzione che è dipesa principalmente da scambi di culture diverse e di prodotti alimentari diversi .
I romani hanno esportato ed importato usi alimentari diversi nel mediterraneo , gli arabi hanno integrato le conoscenze gastronomiche del sud Europa,  i barbari hanno trasportato il regime carneo nella dieta prevalentemente vegetariana ed ittica che dominava in questa area, le grandi esplorazioni  dell’alto medioevo hanno permesso la rivoluzione alimentare che è arrivata fino ad oggi.
La  continua integrazione dei mercati alimentari non è arrestabile e questo permette che gli spaghetti, la pizza, il caffè, il gelato, la maionese, il ketchup, le patatine fritte, gli hamburger ( potrei continuare per pagine) abbiano conservato solo in parte le loro origini e che siano in realtà diventati piatti universali, perfettamente integrati in ogni cultura.
Oggi siamo vicini ad un punto di frattura molto importante. Miliardi di persone aspirano con maggiore insistenza ( e a buon diritto, aggiungo io) ad abbandonare i loro regimi di dieta, determinata soprattutto dalla povertà, per approdare ad avere nei  loro piatti cibi diversi, ricchi e soddisfacenti.
Mi riferisco soprattutto alle popolazioni asiatiche, indiana e cinese .
Oggi la dieta di questi popoli è ancora in larga parte composta da riso e soia ma le migliori condizioni di vita permettono l’accesso a migliore disponibilità di mercato.
L’ aumento di consumo di carni e pescato è in crescita e  conosce incrementi che sono paragonabili a quelli avuti nel mondo occidentale a partire dall’inizio del 900 .
Ed è un problema che non potrà essere affrontato con politiche di riduzione. Ma di garanzia. Garanzia di prodotto, di processo e di sostenibilità.
Ma esistono popolazioni esenti  a queste contaminazioni esterne, volendole chiamare così, come quelle che hanno condizionato( piacevolmente) le conoscenze alimentari dei popoli nella storia dell’umanità?
Esistono e sono rimaste fondamentalmente tre etnie che hanno conservato le loro diete praticamente costanti, o con poche infiltrazioni, da secoli ad oggi. Sono le tribù degli Inomami  nell’interno dell’Amazzonia, quelle dei Boscimani nel deserto del Kalahari in Africa e quelle degli Innuit del Circolo Polare Artico.
I loro regimi alimentari sono prevalentemente di cacciatori e piccoli coltivatori di colture endogene ( gli Yanomami) , di cacciatori e raccoglitori ( i Boscimani) e cacciatori esclusivi (gli Innuit).
Queste etnie sono piuttosto riottose a farsi esaminare secondo i dettami previsti  dagli studi accademici antropologici, per cui non esistono molti lavori che riguardano le loro tradizioni alimentari.
Mi soffermo sono su una di queste etnie , che tanto interessa alcuni sostenitori della teoria che l’uomo sia un essere destinato al consumo di vegetali. ( Chi sostiene soprattutto cereali e chi aborrisce le graminacee e punta tutto su frutta ed alcune solonacee).
Ovvero gli Innuit, che non consumano vegetali per ovvie ragioni se non  qualche alga ed alcuni funghi e germogli silvo -pastorali solo in un brevissimo  periodo dell’anno solare.
Peraltro non cucinano quasi mai, si nutrono quasi esclusivamente di carni di pinnipedi  e di pesci , crudi.
Per la gioia di grandi gourmet che scoprono le crudità solo da qualche anno.
Gastronomy  Domine

Agostino Mastrogiacomo

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(fonte foto: Emaze)

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