TESTIMONIANZE 70° ACLI

Ho racolto con particolare interesse l’invito delle Acli di Latina per comunicare – insieme ad altri colleghi – alcune testimonianze, quali soggetti che hanno vissuto ed “attraversato, anche da protagonisti ” il periodo dalla fondazione delle Acli ad oggi, per trasmettere – tramite le nostre rievocazioni – ai giovani delle nuove generazioni quei valori di solidarietà, partecipazione, unitarietà e democrazia che hanno contraddistinto il percorso e la storia di persone che si sono battute e lottato per il miglioramento delle condizioni di vita,  del lavoro e della dignità delle persone e delle famiglie, tenendo sempre presenti gl’ insegnamenti ed i riferimenti della dottrina sociale cristiana.

Mi sento sicuramente uno dei tanti “viandanti” che hanno vissuto – non certo il primo periodo della Cil – ma ovviamente la seconda fase della nascita delle Associazioni  Acli ad oggi.

Ricordo le tensioni,  il clima (attentato a Togliatti nel 48) e le divisioni politiche degli anni cinquanta/sessanta, che hanno portato, dopo un primo periodo sindacale unitario, con la nascita della CGIL che accorpava le diverse componenti politiche,  alla divisione delle stesse OO.SS nate nel dopoguerra e dato successivamente origine a sigle di sindacati Confederali di diversa rappresentanza (CGIL/CISL/UIL). La  componente cristiano – sociale, pur partecipando alle iniziative del nascente sindacato unitario della CGIL con una propria rappresentanza (Corrente Sindacale Cristiana),  aveva dato  separatamente  vita nell’agosto del 44 – con Achille Grandi Presidente e Giulio Pastore Segretario – al sindacato  delle A.C.L.I., come movimento di espressione cristiana in campo sindacale particolarmente attento e vicino ai problemi sociali del paese, in particolare  delle persone e delle famiglie  più deboli e  disagiate.

 Ricordo come questi contrasti e divisioni rendevano più difficoltose le soluzioni ai concreti problemi della rinascita del paese e delle persone che chiedevano interventi unitari ed immediati per uscire dalle macerie della seconda guerra mondiale, e questo fu il principale motivo perché le Acli non aderirono completamente alla composizione del  sindacato unitario CGIL , e per le stesse motivazioni ci fu la scissione nel 48 delle altre componenti in contrasto con la linea e le iniziative delle rappresentanze social – comuniste,   che non ressero ai forti contrasti politici e sindacali e diedero vita inizialmente ai sindacati LCGIL, con la componente cattolica (C.S.C.) e la FIL formata da Socialdemocratici e Repubblicani. Nel maggio del 1950 tra la fusione della LCGIL e parti della FIL nacque l’attuale CISL con Segretario Giulio Pastore, mentre la rimanente componente laica socialdemocratica e repubblicana della FIL dava origine all’attuale Uil, con Segretario Italo Viglianese.

Le condizioni nelle fabbriche e nei cantieri erano difficili e precarie, e sicuramente più difficoltose le condizioni sociali di vita delle persone e delle famiglie, per la maggior parte costrette a vivere in coabitazione con altre famiglie, con cucina e bagno in comune, in case totalmente sprovviste di elettrodomestici e di arredamento; questo determinava una vita in comunione tra famiglie diverse, vivendo, sempre per una grande maggioranza, in condizioni di assoluta povertà, con un tenore di vita  bassissimo, a volte ai limiti del sostentamento.

La  disoccupazione e la precarietà del lavoro rendevano problematici i rapporti tra le diverse fasce sociali del paese, facendo risaltare le  grandi disuguaglianze sia territoriali tra  nord e sud,  che per sesso e fasce di età, tra giovani ed adulti.

Con le organizzazioni sindacali impegnate a gestire e salvaguardare, con  la ripresa delle attività produttive, le condizioni socio – economiche e di sicurezza all’interno delle aziende e dei cantieri, e le problematiche di disuguaglianza su accennate, (diversità e contrasti delle forze politiche) la vita e la tutela sociale dei cittadini, se non proprio abbandonata a se stessa ed alla iniziativa privata e delle associazioni assistenziali cattoliche (tra cui le Acli con il suo intervento nel sociale), presentava enormi lacune da parte dello stato e della pubblica amministrazione.

In effetti in tutti i comuni, continuarono ad operare gli Enti Comunali di Assistenza (E.C.A.) istituiti nel 1937 dal regime fascista, che assorbì tutti i compiti e le prestazioni svolte, dal 1862,  dalle varie compagnie e congregazioni religiose di carità e delle Opere Pie.

L’assistenza consisteva in aiuti alimentari ai più bisognosi e di ricovero presso ospizi e strutture ospedaliere per i malati cronici o nei manicomi per le persone con handicap o disturbi mentali, ed assistenza alle donne ed ai minori attraverso l’ONMI (Opera Nazionale per la Maternità e l’ Infanzia).

Mentre l’assistenza, l’educazione e la formazione ai bambini mutilati dalla guerra ed ai ragazzi orfani normali e di guerra, ai disabili, agli anziani e senza tetto,  era demandata e svolta dagli Istituti religiosi e Centri di accoglienza,  con il contributo del Ministero degli Interni: tra i molti ricordiamo la Pro – Juventute di Don Gnocchi,  gl’istituti e Centri Professionali di addestramento per orfani e mutilatini di  Don Orione e di accoglienza di Don Guanella, presenti in tutta Italia con le loro strutture.

Anche sul piano delle attività ludiche, culturali, ricreative, ed in generale di socializzazione per i  giovani, gli anziani e le famiglie, lo Stato e le amministrazioni pubbliche, ancora non erano in grado di dare risposte adeguate alle forti esigenze delle persone in termini di welfare; a queste supplivano le organizzazioni private del volontariato e le strutture sportive e cattoliche  con i loro oratori, all’interno delle varie parrocchie.

Ricostruzione e boom economico

Anche grazie agli aiuti economici internazionali ed ai bassi salari, negli anni 60 ci fu una forte spinta alla industrializzazione, che permise alle aziende d’investire in innovazioni tecnologiche – favorendo il famoso miracolo economico –  promuovendo così una decisa espansione delle esportazioni delle merci prodotte dai nuovi settori industriali. Il tasso di disoccupazione, quasi si annulla, passando – in quel periodo – dal 10 al 2.5%, crescono i consumi ed il tenore di vita delle famiglie.

E questi sono anche gli anni ( 60/70 ), percorsi da grandi lotte e vertenze sindacali – sia nelle aziende che nel territorio – per il riconoscimento dei diritti sociali, la tutela della salute e delle persone, il diritto al lavoro,  alla casa, alla formazione, alla cultura, al superamento delle disuguaglianze sociali ed economiche, ottenendo insieme ai risultati, anche le prime risposte positive in termini di riforme dei servizi socio assistenziali e di tutela ed assistenza alle persone e di sicurezza nei posti di lavoro: storici sono ormai i risultati  relativi al superamento delle “gabbie salariali” (1969); alle modifiche sul piano dei rapporti e delle condizioni di lavoro nelle aziende con l’introduzione della L.300/70, meglio conosciuta come Statuto dei Lavoratori; al diritto allo studio; all’attuazione della legge sull’occupazione giovanile (L.285/77) per ‘iscrizione dei giovani a liste speciali, anche per il settore pubblico che ne “approfittò” per utilizzare i giovani nei servizi socialmente utili (fortemente scoperti e carenti), anziché in normali attività d’istituto; leggi per l’edilizia economica e popolare, per favorire l’accesso alla casa per le persone più indigenti (513/77 – 457/78)  e per gli affitti calmierati (equo canone 392/78),   alla chiusura dei manicomi con l’approvazione della legge 180/78 (csd legge Basaglia), che pur incompleta e lacunosa, perché scaricava sulle famiglie i problemi dei soggetti psichiatrici, determinò comunque il passaggio al trattamento sanitario in psichiatria basato sul diritto della persona alla cura ed alla salute, ed inserita successivamente all’interno della legge istitutiva del SSN – la n° 833 del dicembre 78, ed ancora, ma non ultime ed esaustive, le leggi sulle Onlus (la 460del 97), quella sul volontariato (L.266 del 91) e quella sulle associazioni e cooperazione per l’inserimento delle persone svantaggiate nel mondo del lavoro (381/91) e di promozione sociale (383 del 2000).

Ciò fa comprendere quanto grande era l’esigenza e – quindi – la domanda di welfare da parte dei vari strati della società civile, ma è pur vero che proprio in questa fase che registriamo l’ acuirsi delle differenze e la separazione tra le diverse fasce sociali, poiché all’interno dello stesso sistema andavano delineandosi due circuiti di protezione diversi; da una parte le persone occupate che potevano godere di una maggiore tutela tramite il welfare aziendale e l’organizzazione dei circoli aziendali e del dopo lavoro, dall’altra i soggetti più deboli e precari e i nuclei familiari più poveri che usufruivano della sola minima assistenza e servizi ai vari livelli.

In particolare é significativo ricordare come le molte iniziative culturali siano riconducibili proprio all’apertura delle Biblioteche Olivetti, che attraverso il proprio Centro Culturale, che comprendeva un settore interno dell’azienda per le iniziative riservate ai propri dipendenti ed ai loro familiari, si proponeva come centro culturale esterno per mostre, conferenze, letture e spettacoli per tutti i cittadini, contribuendo – grazie ai propri e diretti finanziamenti- alla realizzazione di Biblioteche Comunali nei territori, gestite in convenzione con le amministrazioni pubbliche territoriali, quali strutture di ricerca e sperimentazione di iniziative volte allo sviluppo sociale, culturale ed economico delle comunità.

Tutto ciò fotografa esattamente la situazione di come le risposte e le iniziative pubbliche siano state carenti ed inadeguate, rispetto alle effettive esigenze e bisogni delle varie fasce sociali, in particolare di quelle più deboli e bisognose, poiché gestite in forma diretta ed unilaterale, escludendo  il coinvolgimento delle categorie e delle associazioni direttamente interessate, riguardo alla elaborazione delle proposte e degli interventi previsti e/o da programmare.

Esigenza di nuovo Welfare

Da qui l’esigenza   di una profonda modifica riguardo alla struttura del tipo di  welfare in atto, ritenuto insufficiente e superato, anche – ma forse soprattutto – in presenza del fenomeno della globalizzazione dell’economia mondiale, che porta ad escludere dalla scena sociale, tutte le persone e le categorie più deboli, ritenute “improduttive” e quindi inutili alla società.

Per questo è stata forte e continua la richiesta e le iniziative d’intervento da parte degli Enti del Terzo Settore per la modifica strutturale dell’impianto di modello di un nuovo Welfare che riconosca la piena identità giuridica agli enti del terzo settore e sia  in grado di interagire e cooperare tra i vari soggetti: pubblico, privato e mondo sociale e civile del terzo .

L’approvazione della L.106 del 2016, ed i successivi decreti attuativi emanati,  hanno posto sicuramente le basi per una profonda riforma del 3° settore, in particolare il D.Lgs. n°. 117 del 2017 che pone le basi del superamento  del precedente modello sociale basato sui soli interventi dello Stato e del mercato, includendo – appunto – anche  quello civile.

Anche in provincia di Latina il forum del 3° settore si è immediatamente attivato, promuovendo iniziative e confronti, anche a livello operativo, con diversi Comuni della nostra provincia, ed il coinvolgimento di enti pubblici ed economici (Regione Lazio, Inps, Camera di Commercio) e le diverse Associazioni ed Organizzazioni che operano nel sociale.

Le Acli di Latina, in questa fase organizzativa, si sono fortemente distinte per impegno ed iniziative svolte, sempre presente con l’intero apparato dirigente ed una folta delegazione di associati. Di rilievo il ruolo di portavoce assunto dal proprio direttore Nicola Tavoletta, in tutti i convegni,  seminari ed incontri effettuati.

Seminari e convegni che comprendevano la formazione e  l’informazione della nuova cultura della co-progettazione e degli interventi da effettuare nelle diverse realtà che operano nel territorio. Diverse di questi convegni e seminari si son svolti presso il CESV di Latina o nelle sale della Curia Vescovile.

Poiché,  come ACLISTI, crediamo molto in questo progetto di riforma, per rafforzare, valorizzare e potenziare il mondo dell’associazionismo e del volontariato, riteniamo essenziale mantenere vigile ed  operativa l’attenzione del Forum e dare continuità alla proposta ed alle iniziative, soprattutto ed alla luce dell’approvazione ed emanazione degli ultimi decreti attuativi.

Il Forum del 3° settore, in virtù della grande vastità, diversità e complessità del settore, ha necessariamente assunto tra i propri compiti la rappresentanza sociale e politica nei confronti del Governo e delle Istituzioni e – quindi – si pone, come obiettivo principale, la valorizzazione delle attività e delle esperienze delle varie associazioni – perché il volontariato – oltre che linfa vitale della nostra convivenza, come ebbe a dire l’ex Presidente Giorgio Napolitano, è un concreto stile di vita, che fa crescere moralmente ed anche culturalmente coloro che lo praticano, poiché sicuramente da solidarietà ed assistenza, ma certamente riceve forti input e segnali d’informazione,  formazione e di accrescimento umano e personale.

In uno di quei momenti formativi accennati Il Prof. ZAMAGNA, sulla necessità di promuovere maggiormente l’impresa sociale, ci ricordò, come il fenomeno della globalizzazione e la terza rivoluzione industriale tendono ad escludere tutte le persone e/o le categorie più deboli – anziani, bambini, donne, disabili – che x varie e diverse ragioni non sono in grado di assicurare adeguati livelli di “produttività” relegandole in una nuova classe sociale definita  dei “surplus pipol”, cioè delle persone inutili, ossia, “scarti umani”.

Questo il mondo del volontariato, dell’associazionismo – ma sopratutto noi delle ACLI – non possono accettarlo ed è questo il nostro compito e la nostra sfida; consapevoli che solo l’educazione ad una solidarietà concreta può superare la cultura dello scarto – che non riguarda solo il cibo ed i beni materiali, ma soprattutto le persone e le categorie più deboli e disagiate.

Lo Stato e le Istituzioni – quindi – non devono accantonare,  o con la scusante di aver già liquidato la legge, semplicemente delegare ogni responsabilità alle associazioni ed organizzazioni del 3° settore;  ma occorre fare in modo che con l’applicazione di questa riforma si avvii una nuova fase di strategia e collaborazione tra il non profit, le Amministrazioni e le imprese, pur consapevoli che l’applicazione della stessa (riforma) è una pagina ancora tutta da scrivere e tutti, Associazioni, Enti, Istituzioni, Imprese ed anche singoli cittadini che dovranno essere i protagonisti attivi di questa nuova sfida.

In particolare noi delle ACLI, siamo lieti di raccogliere questa sollecitazione che ci viene da questo mondo, consapevoli che la solidarietà alle persone ed alle famiglie sono e si troveranno sempre al primo posto delle nostre proposte ed iniziative.

Franco Assaiante – Vice Segretario FAP – ACLI Latina

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