Tordi

“Nihil quam Turdus” scriveva nel 33 a.c. Orazio, il grande poeta latino.
“Lepus intra quadrupes” aggiungeva per essere ancora più preciso.
Come dargli torto?
A distanza di oltre 2000 anni restano due capisaldi della gastronomia del Mediterraneo che non sono stati scalfiti dal tempo. Certo, i costumi alimentari sono cambiati e c’è chi si oppone e inorridisce al consumo di carni selvatiche a scopo alimentare ma il caposaldo espresso dal poeta che soggiornava stabilmente nel reatino è ancora li, semmai rafforzato nella storia popolare della nostra regione.
Già perché tanta è la bontà delle carni dei tordi che a Roma gli hanno dedicato due proverbi.
“Quanno è tordi e quanno è grilli” che sta per indicare che ci sono tempi di vacche magre( i grilli) e ci sono quelli di abbondanza e ricchezza ( tordi). E anche “Chi vo’ li tordi se li pela” che sta ad indicare che una cosa buona ( i tordi) si può ottenere con sacrificio e dedizione(spiumarli con metodo e costanza).
Ricordo bene che gli addetti che lavoravano in campagna per l’azienda di mio padre, quando io ero un ragazzo, usavano tutti mettere le trappole fatte a mano per catturare tordi e merli negli oliveti.
Gli era concesso nell’ora del pranzo andare a raccogliere le prede catturate con gli “architti”.
Per decine di secoli quegli uccelli erano stati il miglior pranzo proteico sicuro che ogni settimana si consumava sulla tavola di poveri contadini, braccianti, piccoli possidenti.
Potrei allungare il racconto per pagine e pagine, tanti sono i miei ricordi e le mie conoscenze su questa cultura sociale, storica e gastronomica ovvero l’importanza della piccola selvaggina nella cucina regionale degli strati sociali più umili.
Ma i tordi sono presenti anche nei menù dei grandi ricevimenti nobiliari del medioevo.
Sono presenti nei ricettari italiani ed europei fino ai primi anni 80 del secolo appena passato.
Ci sono nel “Cucchiaio d’Argento” l’ultimo grande ricettario e ci sono nel libro di Artusi, caposaldo della cucina regionale italiano dopo l’unità del 1861.
Ebbene nella nostra terra Pontina sono stati l’elemento coniugante di due culture distanti e anche ostili tra loro come quella degli abitanti dei Lepini e quella dei nuovi contadini che venivano dalla Venezia Giulia.
La “Polenta con gli Osei “ ha messo tutti d’accordo .
Le carni dei tordi ( passeriformi con 5 specie in Italia. Tre le migliori: tordo bottaccio, sassello e merlo) sono squisite, aromatiche, ténere e di alta digeribilità. Data la piccolezza del corpo è preferibile cuocerli interi, dopo averli spiumati con cura per non strappare via la pelle.
Spesso sono avvolte in un grasso profumato che contribuisce a determinare il loro caratteristico aroma di “oliva e alloro”. Si prestano a lunghe cotture su spiedi , da tenersi mai vicini alle braci , oppure in padella con pancetta e vino bianco. Ma i migliori che io ricordi li ho gustati in Sardegna : bolliti e conservati nel brodo acidulato di limone e profumati con foglie di mirto. Serviti freddi , le carni si separavano dagli ossicini e me le hanno servite su pane raffermo bagnato con il brodo e gocce di aceto di vino.
Olio crudo come unico condimento. Semplicemente deliziosi.

Gastronomy Domine
Agostino Mastrogiacomo

agostino

 

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