Scrittore Sumero: 1948, settanta anni da Bartali

È da tempo che non scrivo un testo, non mi riferisco alla serie speciale, ma alle riflessioni periodiche. Per la puntata quattro c’è tempo. Mi ricordo una sera, un tardo pomeriggio del 31 dicembre, dopo le 18,30, quando nella cittadina i negozi sono tutti chiusi. Passeggiavo da solo, freddo, cappotto lungo e stelle già brillanti, qualche chilometro a piedi e sarei arrivato a casa. Tutto il mondo in preparazione del cenone, del veglione. A me piaceva la freschezza di quella solitaria passeggiata. Alcune volte, quando percorro la Garbatella, oppure le strade delle Città Nuove o ancora le vie di Praga, Mosca o Terracina, sento ancora quella sensazione. Un sorriso rivolto ai pensieri più belli. Un sorriso sulle vittorie, sulle sconfitte, sulle bottiglie versate, i reggiseni sganciati, le pagine sfogliate, le parole intonate, i piatti gustati oppure le decisioni prese. Oggi mi viene in mente la pienezza di quell’armonia che mi soddisfava più di ogni festa. Navigare in solitaria è cosa diversa che navigare in solitudine. Quando affronti in solitaria una avventura lo fai con la consapevole convinzione di giocare da solo una sfida per scelta, la solitudine, invece, è un forzato stato, che si subisce. In solitaria per scelta, in solitudine per sofferenza. La solitudine è la frustrazione di coloro che vivono la indifferenza e la sfiducia. Il solitario crede in se stesso, in Dio, oppure in una idea ed affronta la strada, buia o assolata che sia. Voglio essere chiaro, in questo decennio ci siamo giustificati nella solitudine per tramutarci nello spirito della vecchia zia appostata dietro alle finestre,così da legittimare la nostra vita appassita nelle ramificazioni dei social.
Da pettegole inquiline virtuali del condominio guardiamo i condomini dal nostro appartamento, questo è Facebook oppure il Grande Fratello.
Non ci riscattiamo o emancipiamo nella sfida in solitaria come Bartali nel 1948, che in fuga si carica sulle spalle l’intero popolo italiano, dopo l’attentato a Togliatti. Questa fuga solitaria è animata ed accompagnata dalla compagnia delle idee, dalla pace,  di Dio, dalla partecipazione di popolo. La fuga della solitudine o dalla solitudine spesso la esercitiamo nella convinzione di essere insieme a qualcuno nella discussione virtuale e molto primitiva di Facebook. Non giudico, ma tento di capire perché se una persona qualsiasi compie un gesto banale sente l’esigenza di pubblicarlo per farlo sapere al “mondo”, ovviamente con lettera piccola. È come se entrassimo in un autogrill affollato e urlassimo, signore e signori io vado in bagno. Poi uscissimo dal bagno ed avvisassimo:” sono stitico” vado ad ordinare un caffè. Poi nuovamente gridassimo a tutti: “ho preso il caffè più buono della mia vita”, ovviamente della mia vita soffocata dalla solitudine. Siamo sicuri che siamo usciti dalla solitudine? A quanti interessa la nostra sortita in bagno? La solitudine e l’ansia da esposizione come emuli del Grande Fratello ci ha portati a votare i Cinque Stelle, ovviamente questo con una ricca dose di rancore. L’aggressività della solitudine, moltiplicata dal rancore ci ha portati a votare Salvini. Siamo soli e poveri, troviamo il colpevole. Oggi mi chiedo se i migranti siano spariti, non capisco perché sarebbero dovuti sparire, le pensioni d’oro abrogate e revocate, i treni in orario, smontata la legge Fornero e introdotta quota cento, distribuito il reddito di cittadinanza, asfaltate le strade, introdotto il condono fiscale oppure chiusi o aperte la Tav o la Tap.  Sono solo parole e, forse, menomale. Bisognerebbe fare un governo sui social ed un Governo a Palazzo Chigi. Un governo appagante per solitudine e rancore, ottimi Salvini e Grillo, ed un Consiglio dei Ministri che eserciti realmente il governo.
La solitudine non è una colpa, ma una condizione superabile. Il voto elettorale è una cosa seria, non ci trosformiamo negli utenti creduloni che negli anni novanta dissipavano soldi in bollette costose per ascoltare ogni mattina il cartomante al telefono. I maghi Salvin o Di Maio. Bartali si sollevò sui pedali da solo e ci accompagnò tutti alla vittoria in quel Tour del 1948, il popolo credeva nel comunismo, nel fascismo, nel popolarismo sturziano, eppure non si divise con rancore, ma si unì su un simbolo nazionale. Un uomo che diceva “l’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”, ma non lo diceva con rancore, ma con la forza e la modestia. Non accusava nessuno, ma si responsabilizzava. La sera prima, sembra, che l’abbia chiamato De Gasperi per dirgli che il momento era tragico e che serviva una sua impresa per ricordare agli italiani quanto lo stare uniti sia faticoso, ma anche esaltante. Lui, Bartali, con una faticosa ed esaltate impresa ci unì. Continuo a camminare, guardo il mare, il suo profumo mi rallegra, c’è la luce di casa mia.

Scrittore Sumero

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