La Gara (seconda puntata)

Il Castello di Urs in realtà era ormai di proprietà di una banca danese ma lui continuava a viverci dentro in
virtù di non si sa bene quale forma giuridica, probabilmente un accordo blindato tra le parti.
Sua nonna Yvonne era stata una donna di manica larga, non solo negli abiti svasati di Balenciaga che amava
indossare ad ogni occasione.
Una donna irresistibile, dicevani di lei , ed era passata alla storia come una delle donne più affascinanti e belle di tutta la Svevia, del Palatinato e della Renania. Non andò oltre perché finirono i soldi e a memoria di uomo fu l’ unica bella donna al mondo che invece di arricchirsi per questo suo vantaggio aveva sperperato una fortuna non sua come farebbe un qualsiasi erede miliardario maschio.
Naturalmente di quei fasti non era andato tutto perduto, fortunatamente rimanevano alcuni arredi del castello. Tra cui una delle più ampie e belle cucine di casato che vi fossero al mondo, attrezzatura compresa.
Porcellane cinesi appartenute ai Borboni, cristallerie di Boemia , mobilia appartenuta agli Hoenzollern e posate in oro ed argento.
Comunque vecchiume, pensava Lambertus a cui interessava di più il contenuto della ricca cantina, una delle prime al mondo per collezione di Champagne.
Non è possibile, ci sei anche tu!! disse Hans abbracciando Elba e poi Lambertus che sapeva benissimo sarebbero stati li. Anzi aveva fatto di tutto perché non vi fossero.
Era un imperdonabile fanfarone, un uomo che avrebbe mentito su tutto ma che sapeva esternare tutto il suo lato gioioso, affettivo, caloroso e di amorosi sensi in modo così affabile che nessuno era mai davvero arrabbiato con lui. Essere in continua contraddizione era la sua perfetta coerenza, il suo modo chiaro di rapportarsi con il tutto.
E questo, probabilmente ,faceva di lui un cuoco immenso. Di talento, anche se di stazza era certo imponente.
Alberto stava seduto, impegnato e leggere qualcosa, su un divano gigantesco , di velluto rosso carminio e con l’impalcatura in oro ed era invece un uomo apparentemente schivo, burbero e di poche parole. Forse
perché aveva una voce roca che sembrava più un sordo ruggito che un suono umano. Ma cavoli, che chef!
Era incredibile che un uomo tanto rozzo, poco propenso alla riflessione e totalmente disinteressato a collegare tra loro eventi e momenti , cause ed effetti, logica e astratto tanto che mai ci si poteva aspettare che fosse in grado di esprimere tanta delicatezza, tanta semplice raffinatezza da lasciare stupiti, quasi interdetti.
Veniva voglia di chiedergli: chi abita dentro di te e ti anima quando cucini? E in effetti non era mai in grado
di spiegare bene un suo piatto, la migliore risposta che si poteva ottenere era uno sfasteriato “ E’ logico, no?”.

Ignoto Cento

 

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