Carlo Magno, l’Europa e il baccalà
Uno dei meriti indiscussi della diffusione della religione cristiana nell’Europa del medioevo, quella nata con il Sacro Romano Impero, è nell’aver introdotto come obbligatorio un giorno alla settimana l’usanza di cibarsi di “magro”. In principio erano due i giorni consacrati a questa limitazione della dieta, mercoledì e venerdì, poi nei secoli rimase solo il venerdì. Oggi è quasi del tutto disattesa.
Ma quale è l’importanza della cosa, secondo il punto di vista del gastronomo? Soprattutto una, molto semplice ma di enorme significato: quella di aver agevolato, anzi in qualche modo obbligato, l’uso del pesce a tavola nei giorni cosidetti di “magro”. Magro inteso come “non a base di prodotti carnei”,uova , burro, lardo e latte inclusi
Dobbiamo inserire l’origine di questa abitudine alimentare in un contesto storico in cui il cibo , il suo consumo, la sua abbondanza, il suo significato simbolico e quasi mistico, erano di fondamentale importanza. In fin dei conti ogni religione contempla i suoi riti ed uno di questo e quasi sempre relativo al cibo. Vale per l’Islam, per l’Ebraismo, l’Induismo e per molte religioni tribali ancora diffuse nel mondo.
La regola cristiana non chiedeva poi tanto: il venerdì si mangia pesce, punto e basta.
Ed ecco che nello spazio di pochi anni nell’Europa intera divenne uso obbligatorio quello che prima non era sconosciuto ma non così frequente: mettersi a tavola nei giorni stabiliti sapendo che olio di oliva e baccalà avrebbero avuto la meglio su tutte le altre pietanze.
Perché proprio il baccalà? Per la capacità che ha il merluzzo nordico di fermentare con l’aiuto del sale e del freddo vento del nord e quindi di potersi conservare ed essere trasportato, trasferito nei mercati di ogni paese, di ogni luogo anche all’interno del continente o sul cocuzzolo della montagna. Diamo a Cesare quello che gli spetta e aggiungiamo a questo mercato di pesce conservato anche le alici, le sardine, le aringhe e le anguille , queste ultime due spesso conservate sotto affumicatura. Se mai serviva una prova di un’Europa unita eccone una capace di resistere ad ogni dibattito: Europa Unita sotto il segno ed il gusto del baccalà e dell’olio di oliva, o di semi.
Sotto la parola Baccalà si intendono molte cose: in genere può essere sinonimo di stolidità mentale e fisica applicato all’uomo ma il gastronomo non bada a queste cose: egli cerca le differenze, i dettagli che ne distinguono le qualità. Le principali differenze sono nel sistema di conservazione: se è solo grazie al vento freddo che asciuga la percentuale di acqua nelle cellule del pesce messo ad essiccare e la fermentazione avviene per evaporazione, o con l’aiuto di salagioni più o meno intense. Per farla breve diciamo che lo “Stoccafisso” ( da stog fish: pesce bastone) e’ privo di sale, richiede diversi giorni di ammollatura in acqua fredda per riprendere il suo peso originario( circa tre-quattro volte il peso essiccato). Il Baccalà è salato, essiccato e a volte affumicato. Il più diffuso oggi è quello reso a filettoni sotto sale grosso, messo in grandi vasche dove perde peso e fermenta. Buono e a volte molto buono, carnoso, bianco, richiede due o tre giorni di dissalagione in acqua fredda da cambiarsi spesso. Poi ci sono i sempre meno frequenti Gaspe e San Giovanni, ovvero merluzzi nordici eviscerati, privati della testa e messi ad essiccare con poco sale al vento freddo del Labrador , lontano dalla mite Corrente del Golfo. Si presentano come rigidi, quasi giallognoli, spinosi e con la pelle dura. Hanno però carni dolci, delicate, quasi profumate e si prestano ad intingoli, mantecature, ad ineguagliabili minestre con ceci e rosmarino. Anche in questo caso armarsi di pazienza e bisogna cambiargli l’acqua di rigenerazione molte volte per tre-quattro giorni, sempre a temperature vicine ai 3-4 gradi. Costano parecchio anche se un tempo era il cibo popolare per eccellenza e non esiste un paese, una città in Europa che non ne abbia una sua originale ricetta.
Ad Majora.
Gastronomy Domine
Agostino Mastrogiacomo