Il tempo d’autunno

“Era il tempo delle more” raccontava una semplice canzone popolare di quando ero un ragazzino. Non era l’unica canzoncina che legava l’amore alla campagna e molto successo ebbero alcuni ritornelli che, per fare un esempio, raccontavano al a proprio amore di tornare, di lasciare folli speranze, di continuare a legare la propria esistenza al paese dove si era nati. Il richiamo irresistibile che invitava l’innamorato era “ amore ritorna,le colline sono in fiore” , cosa altro aspettarci di meglio infine? In maniera più ineluttabile un altro refrain invitava tutti a lasciarsi alle spalle dolori e mestizia e di avviarsi in modo coerente cantando” andiamo a mietere il grano, il grano, il grano”. Era un tempo così lontano? Pochi decenni eppure sembra un’era geologica. Pochi anni, quasi di battito di ciglia se misurato nell’esistenza di due generazioni ,eppure pare una rivoluzione che ,senza nessuna difesa, ha vinto in brevissimo tempo su un’intera cultura durata qualche secolo e che oggi ci è rimasta nelle immagini di foto in bianco e nero che stanno scolorendo nei cassetti dei mobiletti dove si conservano i ricordi. Se qualcuno ha tempo e passione consiglio la lettura dei faldoni dell’inchiesta parlamentare Italiana sulla povertà, realizzata negli anni 1951-1954. Si fotografa, in senso letterario, una nazione devastata dalla guerra, con i paesi( dove risiedeva ancora la grande maggioranza delle persone censite e che componevano l’intera popolazione italiana) che avevano risposto al problema della fame meglio delle città, dove senza la cosidetta “borsa nera” trovare cibo per mettere insieme il pranzo con la cena era quasi impossibile. Un paese molto arretrato, povero, isolato in molti luoghi distanti dalle grandi vie di comunicazione, senza una propria identità, con un tasso di alfabetizzazione bassissimo e diviso tra pochi con un grado di cultura sufficente o elevato e tantissimi non capaci di leggere e scrivere. In questo senso niente di sorprendente, se confrontata con l’inchiesta parlamentare voluta dal senatore Stefano Jacini del 1883,(ovvero ben settanta anni prima) uomo di destra visionario e solo, che denunciava un sostanziale e totale disinteresse dei governi post-unitari ai problemi dello sviluppo dell’agricoltura e degli agricoltori( il 90 % della popolazione del Sud e poco meno nel Nord Italia) a tutto vantaggio dei comparti siderurgico e meccanico in genere. Ma cosa accadde in pratica negli anni immediatamente a seguire da quella inchiesta ”SULLA MISERIA” dei primissimi anni 50 del secolo appena passato? Che gran parte di quella popolazione lasciò la campagna per riversarsi nelle città con un esodo massiccio( determinando anche necessità abitative che hanno prodotto un enorme problema urbanistico), in cerca di condizioni di vita migliori, di nuove opportunità, di un futuro su cui scommettere visto che non potevano certo contare su politiche che tendessero a salvaguardare e migliorare quell’immenso patrimonio culturale che non si era tradotto in patrimonio economico , come oggi si tenta di recuperare. Non è mia intenzione affrontare ora le modalità che ci porterebbero ad essere un paese leader del mondo nell’agroalimentare, ci vorrebbe altro che 62 faldoni( tanti sono quelli della nominata inchiesta “SULLA MISERIA”) e non sarei il migliore soggetto che potrebbe farlo. Ma una riflessione, un punto di domanda, la offro ai miei lettori e sarà uno dei pliastri della prossima campagna politica di ACLITERRA a cominciare dalla Provincia di Latina, di cui mi candido ad essere il nuovo presidente. Ed è questa: vale davvero di più spendere una vita in una periferia isolata e degradata di una grade città, alienati da ore da destinare a metro e bus, affollati in compagnia di perfetti sconosciuti, tra contrasti esistenziali terribili, o invece rigenerare i centri storici dei piccoli paesi i via di spopolamento, dove grazie all’era delle comunicazioni e con migliore mobilità verso l’esterno, si è in grado di rimanere in contatto con il mondo intero senza vivere in un isolamento che è proprio quello che ognuno di noi può riscontrare in una qualunque periferia di qualsiasi città italiana o europea?
Forse, dopo tante stucchevoli nostalgie da fine settimana che hanno riportato gli italiani a riscoprire la quiete e la bellezza dei piccoli centri urbani storici, si avvicina l’era di un silenzioso controesodo che dalle affollate e costose città punti a trovare una concreta risposta per una moltitudine di persone di ogni categoria ed età, in cerca di una soluzione che risponda alla questione attuale della qualità della vita , ovvero il tema centrale dei prossimi decenni dell’umanità.

Agostino Mastrogiacomo

 

 

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