Cristoforo Colombo e “l’oro” di Isabella di Castiglia
La regina Isabella è passata alla storia per diversi motivi, uno dei quali e di aver dato il nome ad un colore, detto appunto color Isabella, che poi è un avana pronunciato. Questa tonalità era dovuta al fatto che a furia di portare sempre la medesima mise intima ,questa assumeva una colorazione che dal bianco candido diventava nocciola chiaro. Ma la storia dell’alimentazione la ricorda come una magnifica perdente, nonostante sotto il suo regno il genovese Cristobal Colombo avesse trovato la rotta per le Americhe. Una delle mission che era in carico al prode navigante e condottiero era di rifornire le casse dell’impero dove non tramontava mai il sole, di oro e spezie, allora considerate molto preziose ad acquistate in gran peso e quantità dai nobili di tutta Europa . Ogni banchetto, ogni ricevimento a corte era degno solo se ogni pietanza era ricca di due elementi preziosi: lo zucchero e le spezie come noce moscata, cardamomo, cannella, pepi di vario genere, curcuma e altre. Non risponde al vero che le spezie erano necessarie alla conservazione delle carni, solo una piccola quota di pepe era destinato alla fermentazione dei salami. Nei secoli che vanno dall’anno mille fino al 17mo le salagioni e gli insaccati di carni conservate erano una pietanza come tante altre e nelle cucine dei palazzi nobiliari e delle corti si consumava prevalentemente carne fresca. Sempre condita con tante spezie e zucchero. Per quanto riguarda l’oro Colombo si limitò a rispondere che lui aveva trovato i luoghi, a procurarselo sarebbero arrivati altri come in effetti successe. Ma portò in dono alla regina una sola spezia , la vaniglia, alcuni ortaggi e alcune spighe che nessuno aveva mai visto prima. La regina e suo marito, Ferdinando d’Aragona, però saltarono a piè pari l’appuntamento con la storia e considerarono quei strani frutti cose prive di valore. Era quello l’oro che Cristoforo Colombo aveva trovato in terra americana, come fu chiamata in onore di Amerigo Vespucci che vi approdò in seguito. Tornò trionfante con i tre vascelli che portavano le patate, i pomodori, i peperoni , i fagioli e il mais. A dirla tutta non solo la corte spagnola snobbò tutta questo ben di Dio in terra, ma l’intero mercato europeo si disinteressò di loro al punto che sia le patate che i pomodori furono considerati buoni solo come piante ornamentali. Invece le classi meno abbienti trovarono interessanti i fagioli ed il peperoncino: costavano relativamente poco, si conservavano bene e davano energia. Ci vollero due secoli perché si desse attenzione a l’oro di Colombo che per il resto del mondo restò invece un poco affidabile conquistatore ,visto che dava interesse a queste cose e non all’oro e pietre preziose.
Ecco una ricetta che cercherà di rendergli merito.
Ratatouille di fagioli, peperoni, patate e pomodori
Per 4 persone: 800 grammi di fagioli borlotti freschi da sgranare 400 di patate novelle 3 peperoni di colori diversi 200 grammi di pomodori datterini non troppo maturi 1 cipolla borrettana fresca
Fate cuocere i fagioli dopo averli sgranati e lavati bene in 4 litri di acqua poco salata condita con uno spicchio di aglio e un rametto di rosmarino. A parte lessate le patate in acqua sempre poco salata. Tagliate i peperoni ben lavati in modo di ricavarne dei quadrati di circa due cm per lato e fateli cuocere in padella con la cipolla e poco olio e.v.. il fuoco deve essere dolce e le verdure non debbono friggere. Salate e se serve aggiungete poca acqua tiepida. Quando i peperoni e la cipolla sono leggermente appassiti versate i datterini nella stessa padella a lasciate andare ancora per 5-6 minuti con il fuoco più deciso e muovendo la padella senza scossoni ma facendo in modo che non sia solo una parte della ratatuille a cuocere. A questo punto aggiungete i fagioli scolati ancora caldi e le patate pelate e tagliate a cubetti di 2 cm per lato. Spegnete subito e aggiungete prezzemolo tritato e olio e.v. E’ assolutamente consigliata se servita fredda ( temperatura ambiente) dopo averla sistemata su crostoni di pane tostato.
Agostino Mastrogiacomo