LA BORRACCIA DI COPPI E BARTALI

Una cosa manca nel calendario di questa primavera che fiorisce da Suio a Civita di Bagnoregio, che colora la nostra regione, un evento che la tradizione infonde come vento d’entusiasmo da cento anni ad oggi: il Giro d’Italia.
Quest’anno il fascino eroico della carovana rosa non dipingerà, nel centesimo anno, le strade laziali, portando passione, esultanza e lacrime.
La corsa che ha unito l’Italia, lo sport che ha unito gli italiani.
I girini nella loro competizione piu sofferta sono stati sempre leggendari portatori di pace ed armonia sociale.
Il centesimo anno avrebbe meritato Roma, ma non è questo il tema della mia riflessione.
L’Italia è talmente bella che ogni strada attribuisce lustro ed onore alla competizione sportiva, ma anche la tradizione della competizione sportiva in ogni strada rispecchia la sua grandezza.
L’Italia è talmente ricca di espressioni della cultura umana che ogni paese è capitale e Roma può essere orgogliosa di questo.
Gli italiani sono, siamo, stati sempre idealmente ciclisti, forse è lo sport che piu ci rappresenta:cerchiamo il sollievo della discesa, ma ci esaltiamo digrignando i denti in salita, senza mai mollare, apparentemente individualisti, ma sempre a batterci in squadra, sordi alle urla del pubblico, ma sempre pronti a cogliere il calore dei giornali passati dal tifoso da mettere sotto la canottiera prima della fredda discesa.
Contraddizioni? No, equilibrio.
Siamo donne e uomini d’equilibrio, l’equilibrio che genera armonia.
L’armonia delle forme, delle misure, delle integrazioni ha infatti disegnato la bellezza di questa Nazione.
Questo manca oggi a Roma, ai romani e ai territori laziali, il riconoscimento dell’armonia, che risolve, tramite la mediazione, le resistenze, le divisioni.
Le brutture delle divisioni, rese pregio tramite l’arte giapponese del Kintsuji, che evidenzia le frazioni con l’oro e l’argento.
L’armonia è nella creatività, nel confronto, nell’incontro.
Nella cultura della diversità.
L’armonia non è nel filiforme dito accusatore dell’inquisitore, che purifica con la ghigliottina la difformità.
Quel dito, pezzo di un corpo senza anima e ragione, ma irrigidito dalla rabbia.
Quel dito che molti romani e tanti laziali per rabbia, ma non per amore, hanno stampato sulle tastiere dei computer per vibrare la protesta contro gli amici di un tempo, cercando di gonfiare perfetti amministratori, scevri dal peccato.
Non è il dito accusatorio che ci migliorerà, ma la gamba, le gambe, che armonicamente ruoteranno sui pedali per far muovere quella bicicletta che sola mai salirà.
Questi amministratori non sanno andare in bicicletta, ma ora gli abbiamo affidato il veicolo ed aiutiamoli, facendogli capire che per scalare la salita non serve rabbia o presunzione, ma passione, allenamento e anche la borraccia passata da chi c’era prima.

  Scrittore Sumero

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