Dopo Pasqua, continuiamo a non essere vegani
Sono finite le festività pasquali ma non sono terminate le polemiche relative al consumo di carni ovine che in questo breve periodo sono molto concentrate, come da tradizione millenaria.
L’usanza di cibarsi di giovani vitelli o agnelli è legata all’elemento sacrfificale, ovvero all’offerta al proprio Dio dell’animale più puro e prezioso di proprietà dell’officiante della cerimonia. In pratica il “padrone di casa” sacrificava e offriva in pasto il frutto migliore del proprio gregge, in parte per riconoscimento e in parte per ingraziarsi i favori delle proprie preghiere e per un futuro di buoni asupici. Il pranzo di Pasqua ha conservato, in qualche modo, questa sua funzione cerimoniale e la cosa è testimoniata anche dalla presenza delle uova, simbolo di fertilità e di fede ma di poco significato sotto il profilo gastronomico.
La questione etica relativa ai temi delle dottrine vegetariane o vegane è sempre più diffusa e degna di riflessione e può essere inquadrata sotto molti punti di vista diversi tra loro. Vi sono infatti diverse istanze che in modo a volte incoerente convergono sulla necessità di eliminare dalla dieta umana l’uso di carni e di prodotti animali. Una fa riferimento a questioni di carattere sanitario e che ritiene addirittura pericoloso per la salute nutrirsi di carni, specialmente di quelle definite “rosse” considerate con molta approssimazione come precursori di diversi tipi di tumore. Un’altra di carattere evolutivo che individua l’umanità in un percorso temporale che la affranca dal suo essere primordiale per elevarla ad essere mentalmente evoluta e che quindi ripudia ogni ricorso alla soppressione di vita perché identificato comunque con la certezza di dolore fisico e strazio per il pensiero. Altre di carattere ambientale che ritengono che il ricorso all’allevamento animale sia un danno e un tale svantaggio di risorse naturali (acqua, aria, suolo) da non giustificare la produzione di alimenti carnei destinati al consumo umano. Altre sono di carattere religioso e vietano il consumo di alcune qualità di carni e di determinate modalità di allevamento e macellazione. Gli eccessi di interpretazione portano alcuni a considerare il rifiuto di mangiare carni non più come una scelta personale ma come una missione in cui sentirsi impegnati anche con azioni clamorose spesso fuori dai limiti consentiti dalla legge .
Insomma a ben osservare si direbbe che le motivazioni sono così pressanti da risultare fuorvianti e che l’approccio a dimostrazione delle varie tesi non sia di carattere scientifico, come si intende far credere, ma di carattere più che altro emozionale. Pongo l’attenzione su una questione che vuole essere solamente un punto di riflessione e non certo una risposta tagliata con l’accetta: ogni uomo e donna di giusta età , in buona salute e senza particolari limiti enzimatici sono in grado di assorbire e di estrarre nutrienti da ogni alimento animale, carne in primis, anche se consumato crudo. Inclusi i pesci del mare, gli insetti, gli invertebrati e simili fatte escluse le feci prodotte. Mentre gli stessi uomini e donne non possono farlo con tutti prodotti vegetali compresi i cereali, alimento principe del genere umano, i quali debbono essere per forza cotti perché possano essere assorbiti e assimilati. E questo vale per le patate, le melanzane, i fagioli e tanti altri alimenti a noi cari. Vorrà dire qualcosa?
Agostino Mastrogiacomo
Gastronomy Domine