L’involuzione sociale della famiglia

Il recente report del CENSIS ha fotografato il nostro paese in modo analitico nei suoi aspetti relativi alle diverse compagini sociali. I numeri parlano chiaro: è un paese dove i giovani( identificati in una fascia di età tra i 18-20 fino 35-38 anni) non sono la maggioranza anzi sono in sensibile calo. Va aggiunto che la terza età, quella che parte dai 65-67 anni , è in costante aumento. Questo può essere definito un buon dato, in quanto è un indice sicuro di un’aumentata qualità della vita che ormai sembra stabilizzata al raggiungimento di una età vicino agli 80 anni ed oltre in condizioni fisiche e mentali molto buone. Diversa è l’analisi economica di un paese in cui cambiano radicalmente i poli che erano di riferimento per la sussistenza dei parametri  relativi alla previdenza sociale e all’assistenza socio sanitaria. E’ evidente che mancano le risorse per il mantenimento di buoni livelli , idonei al soddisfacimento di queste esigenze che aumentano sempre di più a fronte di una riduzione dell’apporto economico prodotto dalla classe sociale al lavoro per due macro ragioni: il lavoro scarseggia e chi dovrebbe svolgerlo è in diminuzione. Apparentemente si potrebbe dire che le due cose sono direttamente collegate, ovvero che ci sono sempre meno giovani  in quanto manca sempre di più la sicurezza di un lavoro stabile e remunerativo che consentirebbe o agevolerebbe la creazione di nuove famiglie. Ma siamo sicuri che sia effettivamente solo questo il problema? Facciamo un passo indietro.

Analizziamo brevemente la situazione in cui versava il nostro paese subito dopo la seconda guerra mondiale. Un paese in ginocchio, ritornato ai livelli di povertà economica e sociale dei primi anni del secolo 20simo, culturalmente arretrato e con un tasso di scolarizzazione molto basso. La colonna sociale dell’intera società era rimasta però ed era la famiglia. Costruire una famiglia era l’obiettivo naturale di ogni giovane uomo o donna che fosse, era la più grande pulsione al progredire che l’intera nazione possedeva. E tutte le azioni messe in campo dal potere politico erano sostanzialmente indirizzate al sostegno di questo piccolo grandioso sogno. Questa pulsione, il soddisfacimento di questo bisogno intimo, personale e sociale, ha permesso in breve tempo di rivoluzionare l’intero assetto sociale fino ad ottenere quello che era stato impensabile per due millenni: che il figlio di due contadini diventasse dottore, ingegnere o geometra. Che la figlia di una coppia di operai generici diventasse insegnante e che potesse anche lei , loro tutti accedere ad appartenere a una classe sociale di grado più elevato. Ritornando alla recente analisi del CENSIS  è molto interessante confrontare i dati relativi alle nuove nascite. Ebbene queste sono sostenute ,in modo peraltro assai relativo, dalle famiglie di immigrati . Dove? Specialmente al Nord mentre al sud l’obiettivo di sposarsi e metter su famiglia, in parte resiste tra i giovani di quella fascia di età che è stata considerata.  Questo ci pone degli interrogativi di cui il primo è: siamo sicuri che tra i giovani in attesa di un lavoro insieme a quelli che un lavoro lo hanno creare una famigli e mettere al mondo dei figlii sia un obiettivo primario? Tentando un paradosso mi sento di poter affermare con certezza che anche in un momento storico di grande rivoluzione sociale nel mondo come quello esploso negli anni 60 del secolo sorso e culminato con le proteste anche violente del 1968-70, il mito della famiglia ha resistito. Anzi ha cercato e spesso trovato una sua evoluzione. Non è che non si voleva più una famiglia ma si cercava una famiglia “migliore”, che poi è sempre stato la naturale ambizione di ogni coppia di giovani di ogni tempo: creare una famiglia addirittura migliore di quella in cui si era cresciuti. Oggi tutti gli indicatori sembrano puntare su altri “valori”. La teconologia non si sviluppa su nuove lavatrici ma su nuovi apparati elettronici di media e di comunicazione. L’edilizia non sviluppa moduli abitativi per nuclei familiari con figli da crescere ma su monolocali funzionali. I giovani che lavorano con uno stipendio medio non sono stimolati a risparmiare ma a spendere immediatamente per soddisfare bisogni estemporanei,  il migliore dei quali è il bisogno di conoscere altri luoghi ed altre culture del mondo. Questo scenario ci dice che in breve tempo avremo una società in perenne rischio di conflitto culturale , colma di diseguaglianze e priva di un coerente e affidabile substrato dove fondare una vera crescita sociale, economica e culturale. Chi ha il dovere di reagire o di supportare a questa digressione? Il mondo cattolico è chiamato in primis a insistere con l’esempio , la proposizione e la diffusione di un modello virtuoso e moderno di famiglia dove sono accolte le istanze di emancipazione e di libertà dai vecchi schemi patriarcali in verità già abbondantemente superati. Dove anche i separati sono genitori di una famiglia diversa ma orientata attivamente nella società. Bisogna pensare a una società non solo cattolica, dove crescere uno o più figli sia un magnifico obiettivo e non uno sforzo complesso in contrasto con le esigenze del mondo produttivo e delle relazioni sociali. Senza questo input è impensabile che la politica ponga in atto azioni serie e potenti per sostenere la famiglia e la sua convenienza sociale. Se ne continuerà a parlare, si faranno mozioni e si scriveranno ottime leggi  che troveranno modesto consenso. Il bisogno deve nascere dalla società civile e non dall’ “orologio biologico” delle donne spesso stimolate dall’idea i avere un figlio più che di avere una propria famiglia.

Agostino Mastrogiacomo

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